Uno yankee nella corte di Lewis Caroll. Intervista a Terry Gilliam

Aver a che fare con il cinema di Terry Gilliam non è un compito facile. Il suo è un cinema inclassificabile e allo stesso tempo ben riconoscibile. Un cinema che porta i segni di un autore e allo stesso tempo gioca allegramente con i generi tradendoli e spiazzando lo spettatore. Insomma un cinema che apparentemente piace a tutti ma che è impossibile accostare a un pubblico preciso. Abbiamo incontrato Terry Gilliam a Roma per la presentazione della sua ultima fatica Tideland e lo abbiamo trovato molto vicino al personaggio che interpreta nel film Jeff Bridges: un uomo che viaggia in una dimensione parallela non perché rifiuta la nostra ma perché gli piace sognare.


Che tipo di rapporto c’è tra il suo film e il romanzo da cui è tratto? Quella sensazione acida che abbiamo avuto vedendo Tideland c’era già nel libro di Mitch Cullin?


Nel libro c’era gia tutto. Il nostro maggior impegno era quello di rimanere fedeli al romanzo, che è un testo pieno di fantasia, di pericoli, molto divertente, un bellissimo libro. Semmai abbiamo dovuto semplificare un po’ aggiungendo immagini alle parole.


Abbiamo letto da qualche parte che ha definito Tideland il mondo capovolto, il luogo dove Alice nel paese delle meraviglie incontra Psyco. Il suo film racconta di una infanzia molto particolare. Quale è la sua visione dell’infanzia oggi?


L’infanzia oggi? Non so se è consentito oggi avere un’infanzia. A cominciare dai media che spingono i ragazzi a crescere velocemente, a diventare sexy, a diventare, come dire, “fighi”. Non credo che oggi i bambini abbiano il tempo per giocare. Qualche anno fa sono venuto con mio figlio in Italia e abbiamo preso una casa in Umbria. I primi giorni moriva di noia, figuriamoci non c’era la tv, non c’era nulla se non aperta campagna. Dopo due tre giorni ha cominciato ad inventarsi i giochi da solo ed era come se fosse rinato. Il contatto con la campagna ha avuto un influsso positivo su di lui.


Parlando dello stile, è interessante notare che ha re-inventato in chiave fantastica-favolistica l’ambientazione di molti horror americani soprattutto quelli più sporchi degli anni settanta. Psyco sicuramente è il capostipite ma anche Non aprite quella porta, Quel motel vicino alla palude e tanti altri.

Ha ragione. David Cronenberg che ha visto il mio film lo ha definito un “horror poetico”. E’ vero che abbiamo fatto ricorso agli elementi del genere horror ma personalmente ho posto un po’ di resistenza. Ero consapevole che avremmo potuto scadere nell’horror, con tutti quei morti e la follia che li circonda, ma ho preferito procurare allo spettatore uno shock diverso: uno shock emozionale piuttosto che quello bruttale che ti offrono i film dell’orrore.


Racconta una certa provincia americana. Quando questi suoi personaggi sono vicini alla realtà di quella provincia?


C’è tutto un genere nella letteratura americana che chiamiamo il gotico del sud degli Stati Uniti, che rispecchia un po’ quello che è il ventre molle dell’America. Sa, in America oggi si fa finta o di essere tutti felici e contenti oppure di essere brutali e violenti. Ma c’è una via di mezzo specialmente nelle regioni isolate come quella che racconto nel mio film. Lì c’è uno strano mix di claustrofobia, insomma le case quasi stregate con le finestre chiuse ermeticamente e di agorafobia, con le vaste aree aperte in cui non incontri mai nessuno.

 
Con Brazil e poi con Le avventure del Barone di Münchausen ha re-inventato il genere fantasy. Che cosa non le piaceva nel fantasy che c’era fino ad allora e che cosa ha portato di suo?


Non mi sono mai reso conto che ho re-inventato il genere fantasy, perciò la ringrazio. A parte gli scherzi apprezzo il complimento ma per me non funziona così. Quando decido di fare un film non penso ad un genere ma mi viene un’idea che poi approfondisco con i miei strumenti. Che cosa non mi piaceva del genere fantasy? Ancora oggi ci sono molti film fantasy che non vanno da nessuna parte. Di solito questo genere funziona quando c’è un forte contrasto tra un mondo totalmente immaginario e un mondo il più possibile realistico. Ecco gli elementi che dovrebbero fare funzionare questi film. Ma purtroppo i cosiddetti fantasy propongono delle fughe dalla realtà e questo non funziona.


Mr. Gilliam, molti credono che lei è inglese. In realtà lei è americano trapiantato in Gran Bretagna. Kubrick è andato via dagli Stati Uniti perché non trovava nessuna libertà. Lei per quale motivo è andato via?


Quando 40 anni fa ho cominciato a lavorare, in America la gente non capiva il mio umorismo. Questo mi dispiaceva. Ma in Inghilterra ho trovato un’audience ottima, ed eccomi qua. Addirittura un anno fa ho abbandonato la mia cittadinanza americana e adesso sono un fiero cittadino britannico!


©CultFrame 11/2007

 

IMMAGINI

1 Terry Gilliam

2/3 Tideland di Terry Gilliam

 

LINK

Filmografia di Terry Gilliam

Il sito ufficiale di Tideland di Terry Gilliam

 

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