La Samaritana ⋅ Un film di Kim Ki-duk

Il cinema di Kim Ki-duk è caratterizzato da una sottile e interessante alchimia. Le componenti estetizzanti sono sempre organizzate in un tessuto narrativo secco e conciso. Il racconto è semplice, puro e alto. Gli psicologismi azzerati a favore di significanti che vengono proposti ora sotto tono, ora grazie a improvvise virate, quasi scioccanti. I suoi personaggi agiscono come se fossero in trance, come se i loro movimenti, finanche i loro pensieri, fossero guidati da meccanismi non conoscibili ed esclusivamente simbolici.
Anche La Samaritana, recuperato in extremis dal mercato estivo italiano, risponde a questi requisiti fondamentali. Si tratta di un film già premiato con l’Orso d’argento al Festival di Berlino che aggiunge un ulteriore positivo tassello ad una carriera che da dieci anni a questa parte ha subito un’accelerazione quasi sorprendente.

La vicenda de La Samaritana è tripartita in episodi algidi e freddamente consequenziali che fanno emergere le contraddizioni relative al senso dei rapporti amorosi. Da una parte l’esigenza di darsi in maniera quasi automatica per esaltare il piacere altrui e diffondere felicità (seppur momentanea), dall’altra la dimensione più individuale dei sentimenti che può sfociare nello stereotipo del possesso di tipo educativo. Così, mentre Jae-Young vive in modo ludico la sua decisione di frequentare uomini a pagamento, in una sorta di dimensione quasi astratta e metafisica della purezza del sesso, Yeo-Jin, la sua amica del cuore, e il padre di quest’ultima, governati da una coscienza moralistica mutano la loro condizione interiore diventando quello che mai avrebbero volto essere: Yeo-Jin, una prostituta, il genitore di lei, un assassino.

Lo sguardo di Kim Ki-duk è molto asciutto, implacabile. Non analizza nessuna condizione esistenziale, semplicemente la colloca in un contesto estetico-narrativo, lasciando al fruitore la possibilità di “lavorare” sul film in una specie di processo mentale che porta inevitabilmente verso un’autoanalisi individuale. Lo stile è come al solito preciso, essenziale e apparentemente privo di particolari elaborazioni, ma ogni inquadratura è perfetta, pulita, agevolmente leggibile da parte dello spettatore.

Così come Ferro 3, anche La Samaritana ha però un difetto legato all’architettura del racconto. La storia infatti (che, come abbiamo detto, si snoda attraverso tre episodi) è caratterizzata da una svolta improvvisa che inizialmente può spiazzare lo spettatore. Infatti, se la prima parte è dedicata alla relazione affettiva intensa tra le due giovani protagoniste, con la morte di una delle due il film prende una piega simbolica contraddistinta dall’evoluzione ossessiva del rapporto tra Yeo-Jin e suo padre. Alla fine, solo una separazione fisica, preceduta da un sogno da connotazioni morbosamente erotiche, consentirà a Yeo-Jin di procedere con le sue gambe, affidandosi alla forza del suo pensiero e all’esperienza del proprio vissuto.

© CultFrame 06/2005

TRAMA
Jae-Young e Yeo-Jin sono due adolescenti coreane. Vivono a Seul, sono molto amiche e hanno un sogno: fare un viaggio in Europa. Il problema è che non hanno i soldi per il biglietto aereo, così decidono di mettere in piedi un’attività economica legata alla prostituzione. La prima incontra i clienti, la seconda trova i contatti e gestisce i guadagni. Tutto sembra funzionare, fino a quando Jae-Young, per sfuggire ad una retata della Polizia, deciderà di buttarsi da una finestra, in una sorta di suicidio-fuga. Questo episodio sconvolgerà la mente di Yeo-Jin che deciderà di prendere il posto dell’amica per restituire tutto il denaro guadagnato.

CREDITI
Titolo: La Samaritana / Titolo originala: Samaria / Regia: Kim Ki-duk / Sceneggiatura: Kim Ki-duk / Interpreti: Lee Uhl, Kwak Ji-Min, Seo Ming-Jung / Montaggio: Kim Ki-duk / Musiche: Park Ji / Scenografia: Kim Ki-duk / Fotografia: Sun Sang-Jae / Produzione: Kim Ki-duk Film / Distribuzione: Mikado / Paese: Corea del Sud, 2004 / Durata: 95 minuti

SUL WEB
Filmografia di Kim Ki-Duk
Mikado

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