Tress. Maestri della fotografia

arthur_tress-blue_collarArthur Tress. 1940 (New York)

 

La vita e l’opera di Arthur Tress sono difficilmente scindibili. La sua fotografia non ammette altri committenti diversi da se stesso; nonostante egli abbia spesso lavorato su commissione, ha sempre utilizzato il mezzo fotografico con lo scopo di guardarsi dentro, di raccontare a se stesso e agli altri il suo mondo interiore, cercando di tirare fuori quei fantasmi e quelle paure che l’hanno invaso fin da piccolo.
Tutte le sue foto sono riconducibili ad un autobiografismo esasperato, doloroso, che racconta di un uomo alla costante ricerca di un’identità, un uomo ancora capace di parlare alle farfalle e di vivere la propria immaginazione, come un bambino. Sono infatti i bambini, con la loro innocenza infranta dalla sordità del mondo adulto, ad essere al centro della sua iniziale ricerca umana e fotografica, che dapprima trova forma nell’asfissiante racconto della megalopoli newyorkese di Open Space in the Inner City del 1971, e culmina poi, l’anno successivo, con la pubblicazione del libro The Dream Collector. In quest’ultimo volume, un vero caposaldo dell’opera di Tress, l’ampiezza di significati e la profondità dei rimandi psicologici sconvolgono per la capacità dell’autore di entrare in contatto con l’anima dei fanciulli. Tress ha collezionato con dedizione e coscienza quelle angosce che sono loro compagne durante la notte, mettendo in piedi un “ritratto” autentico, duro e dirompente per l’impatto emotivo che suscita nell’osservatore. Con un mangianastri registrava i racconti dei loro sogni; quindi glieli faceva riascoltare e successivamente chiedeva loro di riviverli. Poi li metteva in scena e li fotografava. Lasciava che fosse l’inconscio a costruire l’immagine: molti ragazzini sognavano di essere presi in una morsa e bloccati fisicamente, la loro paura maggiore era quella di essere scoperti intrappolati e puniti dal loro maestro; altri invece avevano sognato che radici, o altre forme vegetali, spuntassero al posto dei loro arti; mentre altri ancora avevano immaginato di volare per la loro camera, fuori dalla finestra e sopra i palazzi.


Questo lavoro così sottile assume i connotati di un vero e proprio trattato non ufficiale sul mondo psicologico dei più piccoli, che racconta in modo anche violento le sofferenze che essi patiscono all’interno del loro subconscio.

I bambini che Tress fotografa sono torturati da incubi ed ossessioni; sono soli, malinconici, tristi, talvolta anche felici e speranzosi, ma generalmente abbandonati ai loro fantasmi. In queste foto c’è tutto l’Io di Tress, nei soggetti ripresi egli rivede la propria infanzia e i propri spettri, ed è probabilmente questa sua comunanza di sentimenti a renderlo così vicino al loro punto di vista.


arthur_tress-boy_in_waterCome fa notare Peter Weiermair, Tress riprende suggestioni etnografiche proprie della cultura messicana in cui si era immerso da giovane, per mostrare nelle sue immagini, con grande chiarezza, il sottile confine che separa il sonno dalla morte, o dalla paura della morte, tema che affronterà con maggiore maturità in Theater of the Mind del 1976, in cui, come un regista, è andato alla ricerca di attori in grado di rappresentare il lato oscuro della vita moderna, con le sue cerimonie di sesso e violenza, con la sua spersonalizzazione ed ambiguità; un libro, questo, in cui dà forma agli incubi e ai desideri nascosti dentro l’animo umano, come se questo animo vivesse sospeso dentro un lungo sogno nel quale è congelata e messa a nudo la sua fragilità.


Ma già in The Dream Collector si evidenzia la scelta di Tress di creare ambientazioni teatrali in set improvvisati. Ciò deriva dal desiderio di andare oltre la semplice documentazione, al fine di creare opere che restituiscano una visione ambigua del reale. Tress fa ciò inserendo nel contesto, con associazioni pindariche ma mai casuali, elementi appartenenti al reale stesso, che finiscono così per assumere una connotazione metafisica. Ed è questa scelta a disorientare l’osservatore e a trascinarlo in un mondo onirico parallelo, da cui nascono i richiami sommersi che descrivono l’ambito del sogno. A questo proposito egli dice: L’inquadratura fotografica non è più usata come una finestra che documenti vite private indisturbate, ma come un palcoscenico su cui i soggetti dirigono consapevolmente loro stessi per portare in primo piano quelle informazioni nascoste che non sono normalmente mostrate in superficie. Questa strategia della mise-en-scène, che è stata di grande importanza negli anni successivi per questo genere di fotografia, è già evidente nei suoi lavori d’esordio. Già le prime immagini, infatti, scattate per lo più con intento documentaristico, denotano i segni del suo modo di fotografare molto personale, della tendenza al grottesco e all’inverosimile. Non si può parlare di vero e proprio surrealismo, in quanto mancano i caratteri teorici alla base del movimento fondato da André Breton, tuttavia è il sogno, e non la razionale destrutturazione e seguente ricomposizione incongruente del mondo surrealista, la dimensione che più si confà al lavoro di Arthur Tress. E‘ proprio la possibilità concreta che ciò che egli fotografa esista veramente, e che non sia solo un’invenzione pittorica, a turbare l’animo, confondendo la realtà con la fantasia, disorientando l’osservatore che ha una consapevolezza ben precisa della struttura del reale.


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I turbamenti di Tress hanno un risvolto anche nella preferenza per una sessualità ambigua, fatta di richiami erotici sottilmente allusivi che si esplicitano in pieno a metà degli anni ‘70, nella serie dei nudi maschili, scattati per lo più nelle vicinanze dei moli vicini al suo studio newyorkese. In essi Tress ha infatti fotografato le sue fantasie falliche, utilizzando il linguaggio del sogno come chiave di interpretazione della realtà, elaborando ciò, come dice lui stesso, con un’impronta rituale tramite la quale ritrarre le sue passioni sessuali e le fobie di castrazione o penetrazione. Tress combina la sessualità e la perversione con un’eleganza e un’intelligenza raggiunte solo da pochi altri artisti. Queste foto furono realizzate sulla base di un progetto non finanziato, e furono trattate inizialmente alla stregua di pornografia omosessuale; oggi invece esse rappresentano un documento importante del libertinismo sessuale dei tardi anni ’70, oltre ad essere un’ulteriore faccia del lavoro fiabesco del fotografo americano.


La scelta di una teatralità sempre più simbolica ha poi preso lentamente il sopravvento, finendo per diventare uno dei motivi principali della sua ultima produzione durante gli anni ’80 e ‘90. Per un certo periodo smise di lavorare con modelli e modelle, la figura umana si assottigliò sempre più, per lasciare posto ad un tecnicissimo still-life che rappresentava in maniera più asciutta, iconica e solitaria la sua alienazione e le sue paure. Con gli oggetti più disparati costruì un mondo colorato con cui raccontare i turbamenti della sua mente. Non erano solo le foto in sé ad essere opere d’arte ma soprattutto gli oggetti che lui stesso costruiva, vere e proprie installazioni di arte contemporanea che successivamente riprendeva in contesti stravaganti. Nella serie Hospital usò gli strumenti di un ospedale abbandonato per documentare il tentativo di esorcizzare il terrore della malattia e della morte, trasformando l’ospedale, come afferma Weiermair, in una specie di Disneyland kafkiana. Seguirono altre raccolte di questo genere come The Teapot Opera e Fish Tank Sonata, in cui portò ad estremi quasi barocchi, venati di sfumature pop, il suo linguaggio simbolico e metamorfico. Solo verso la metà degli anni ‘90 ha ripreso a lavorare sui suoi nudi maschili con uno stile onirico e teatrale che richiama quello che utilizzava negli anni ’70.


arthur_tress-ancient_singerArthur Tress è sempre stato considerato un individualista, un artista eccentrico, difficile da contestualizzare all’interno di qualunque movimento o tendenza artistica della fotografia americana tra gli anni ’60 e gli anni ’90. In sostanza ha continuato a seguire nel corso del tempo un proprio percorso denso di riferimenti autobiografici che l’ha tenuto lontano dalle mode. Questa aleatorietà connotativa è stata fonte di soddisfazione per lo stesso Tress, ma anche causa di minor fortuna. Il suo approccio narrativo e simbolico, e l’attenzione quasi ossessiva verso il sogno e l’incubo, erano difficili da accostare per profondità e soggettivismo ai lavori dei suoi contemporanei più onirici come Garry Winogrand o Duane Michals, artista, quest’ultimo, al quale è legato da profonda amicizia.

Anche in questo forse è da ricercare l’immeritata minor fama di cui egli ha goduto rispetto a molti suoi contemporanei.
Tress ricrea situazioni artificiali, strane, piccoli drammi che coinvolgono persone ed oggetti, sospesi nel tempo come nel fermo-immagine di un film, aperti ad ogni finale. Il suo è un profondo interesse verso un universo fantastico, verso quel confine che separa la coscienza dall’inconscio, il reale dall’irreale, attraverso un approccio costruito e simbolico, in cui apparentemente tutto sembra scorrere in modo naturale e casuale.

In pratica, difficilmente qualcosa è lasciato al caso; tutto è ricostruito con minuziosa precisione. Questo tratto saliente lo avvicina a un precursore della fotografia americana come Ralph E. Meatyard. Tuttavia proprio questo essere al di fuori di ogni definizione, il non essere un vero artista fine-art o un autentico fotografo editoriale, ma semplicemente un collezionista di sogni, che ha scandagliato con sofferenza l’animo umano e le sue paure, lo rende uno dei geni della fotografia del ‘900.



BIOGRAFIA

 

arthur_tress-self_portraitArthur Tress nasce a Brooklyn, New York, il 24 novembre 1940 da genitori di fede ebraica. E’ tuttavia la figura del padre a giocare un ruolo dominante nella sua infanzia, caratterizzata da numerosi traslochi e separazioni familiari.

Egli visse lunghi periodi della sua vita accanto ad esso. La salute di quest’ultimo, continuamente precaria, e il lento decesso alla fine degli anni ‘70, instillarono in Arthur la sensazione profonda e radicata che la vita non potesse non fare i conti con la malattia e la morte, e più in generale che essa non potesse essere vissuta senza soffrirne l’estrema precarietà. Il suo ultimo, devastante ritratto del padre, seduto nella sua poltrona come su uno scranno regale, un Re Lear solitario nel mezzo di un giardino plumbeo ed innevato, straziato dalla vecchiaia e dalla malattia, porta con sé tutta la paura e l’intensa sofferenza di un figlio a cui viene inesorabilmente strappato l’orizzonte a cui sempre ha fatto riferimento.


Fu proprio il padre, molti anni prima, ad incoraggiare Tress nel suo talento artistico e a spingerlo verso lo studio delle arti. Così, già a dodici anni Arthur cominciò a fare le sue prime foto. Dopo un ennesimo trasloco a Manhattan, si iscrisse al Bard College, una scuola sperimentale in cui poté seguire una serie di corsi inusuali per altri Istituti. Si dette alla pittura, ammirando molto il lavoro di Cézanne, ma allo stesso tempo cominciò ad interessarsi seriamente alla fotografia, scattando dentro una vecchia serra abbandonata; nel contempo approfondì il suo interesse verso l’antropologia culturale. Dopo la laurea in pittura e storia dell’arte, lasciò New York per trasferirsi a Parigi, dove studiò brevemente presso l’Accademia Cinematografica. Presto però si rese conto che il suo vero interesse non era né la pittura né la cinematografia, bensì la fotografia.


arthur_tress-last_portrait_of_my_fatherIl padre avallò proprio questo suo interesse per l’espressione fotografica e le altre culture, permettendogli di compiere un lungo viaggio di quattro anni intorno al mondo, in cui toccò Messico, Egitto, Italia, India, Giappone, Thailandia e Svezia, luogo, quest’ultimo, in cui si fermò e dove ottenne il suo primo incarico come documentarista delle culture tribali africane presso il Museo Etnografico di Stoccolma. Ammalatosi di epatite durante una delle sue missioni in Africa, fece infine ritorno negli Stati Uniti nel 1968 per farsi curare. E’ proprio di quell’anno la sua prima personale intitolata Appalachia: People and Places. Seguono altre numerose esposizioni di successo a New York e la pubblicazione di numerosi libri, fino al 1986, anno in cui la fama di Tress sbarca in Europa, con una retrospettiva itinerante dal titolo Talisman, mostra che approda con successo a Londra, Francoforte e Charleroi.


Nel corso dell’ultimo decennio, produce vari altri libri, mostre e progetti che hanno risonanza sia in Europa che in America. Nel 1992 si trasferisce da New York a Cambria, in California, dove attualmente risiede, mantenendo comunque attivo il suo studio di New York.


©CultFrame 10/2002

 

 

IMMAGINI

1 ©Arthur Tress. Blue Collar Fantasy. New York, 1979
2
©Arthur Tress. Boy in Water under Bridge. New York, 1970
3
©Arthur Tress. Hannah Stuart and Mother. Sag Harbor. New York, 1972
4 ©Arthur Tress. Ancient Singer. New York City, 1980

5 ©Arthur Tress. Self-portrait in mirror. Coney Island, 1965
6
©Arthur Tress. Last Portrait of My Father. New York City, 1978

 


BIBLIOGRAFIA

 

Lorenz, R., Arthur Tress: Fantastic Voyage: Photographs 1956-2000, Bulfinch Press, 2001

Tress, A., Fish Tank Sonata. Bulfinch Press, 2000

Sprigle, D., Male of the Species: Four Decades of Photgraphy of Arthur Tress, Fotofactory Pr, 1999

Weiermair, P., Arthur Tress – A Monograph, Edition Stemmle, 1995

Tress, A., Machinations Photographs, Millivres Prowler Group, 1995

Mellor, D. A., Glenn, C. W., Arthur Tress: Requiem for a Paperweight, California State University, Long Beach, University Art Muse, 1994

Tournier, M., Arthur Tress, Center for Photographic Art, 1993

Tress, A., The Teapot Opera. In three acts, Abbeville Press, New York, 1988

Livingstone, M., Arthur Tress: Talisman, Thames & Hudson, 1986

Tress, A., Facing Up, St. Martin’s Press, Inc., 1980

Tournier, M., Arthur Tress: Rêves, Edition Complexe, Brussels, 1979

Tress, A., Theater of the Mind, Morgan & Morgan, Inc, 1976

Tress, A., Shadow : A Novel in Photographs, Avon Books, New York, 1975

Minahan, J., The Dream Collector, Westover Publishing Company, Richmond, 1972 e Avon Books, New York, 1974

Tress, A., Open Space in the Inner City: Ecology and the Urban Environment, New York, New York State Council on the Arts, 1971

 

 

LINK

Il sito di Arthur Tress

Immagini realizzate da Arthur Tress

 

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