Il mistero dell’Io. L’arte del ritratto e le sue componenti concettuali

fredi_marcariniIl ritrattista essenzialmente non è un fotografo, ma un investigatore che sfugge alle regole scritte. Il fine della sua ricerca è l’uomo, e di esso dovrebbe cercare di conoscere il più possibile, attraverso tutto ciò che la sua immaginazione ed inventiva creano o metabolizzano dal mondo esterno: libri, vestiti, canzoni, film, odori, parole, gesti. Ogni micromondo umano per il ritrattista è fonte di arricchimento, un piccolo passo oltre, verso una nuova conoscenza dell’uomo, dei suoi desideri, dei suoi bisogni e dei suoi sogni.


Non c’è niente di superfluo, anzi spesso egli sfrutta il superfluo per connotare ancor meglio il carattere delle persone. Un buon ritrattista infatti non si ferma all’apparenza delle cose, non segue strade già battute, ma cerca di analizzare l’uomo nel continuo confronto con l’Io che, tutto sommato, è la forma di uomo a lui più consueta, per quanto misteriosa. Ed è spesso proprio il mistero dell’Io a spingerlo in questo confronto, in cui cerca di dare un senso prima di tutto a se stesso.


In un primo momento si può dire che per il ritrattista ogni ritratto è un autoritratto, in cui egli cerca di estrapolare dalla persona che ha davanti all’obiettivo quelle emozioni che sente come proprio patrimonio: il soggetto quindi come strumento di espressione.


Ma approfondendo l’analisi si scopre che in realtà la relazione non può che essere biunivoca: impossibile pensare che, per quanto sia statico e dominante lo stile di un fotografo, la tensione presente in un buon ritratto sia frutto solo della perizia o del tormento dellìautore. Il soggetto non è mai qualcosa di passivo, ma agisce, pensa e soprattutto reagisce. Quindi un ritratto non può essere propriamente solo un autoritratto, ma invece è una delle tante possibili rappresentazioni dell’Io del fotografo, laddove il soggetto non è semplicemente lo speculum, ma recita attivamente la parte che si vuole che egli reciti, arricchendola attraverso la propria personalità, il proprio tormento e il proprio mondo interiore. Quindi ogni ritratto è un amplesso: infatti esso è l’unione di due vite e di due coscienze che si incontrano, si studiano e duellano per trovare poi una fusione finale che crei un nuovo sentimento che prima non c’era.

Un sentimento che può essere passionale e focoso oppure veloce e gelido, può piacere o non piacere, può dare piacere o non darlo, a seconda dell’intesa che si instaura tra ritrattista e il soggetto.


Ma in questo dirigere per lasciarsi interpretare sta tutto il narcisismo, il bisogno di esistere del ritrattista, la necessità di affermare il proprio Io per non sentirsi, in fondo, dimenticato. Il ritrattista probabilmente non guarda gli altri, ma guarda se stesso; eppure involontariamente permette agli altri di guardarsi, proprio per la biunivocità di questo rapporto a due. Alla fine della sessione di lavoro, secondo una dinamica che non è monopolio della fotografia, ciascuno dei due, ritrattista e soggetto, esce pensando di aver vinto. Velazquez aveva vinto, ma anche Innocenzo X aveva vinto; così come, ad esempio, Jonas Karlsson riesce a comunicare il proprio sogno di eroismo attraverso i volti di dieci grandi esploratori sul numero di Maggio 2002 di Vanity Fair, volti di personaggi consapevoli della loro fierezza e del loro eroismo. Non ci sono sconfitti. E per il ritrattista la sfida risorge nuova davanti ad ogni volto, perché ogni volto è diverso, ogni sguardo è diverso, ogni personalità è diversa e questa continua diversità permette di esprimere ogni sfaccettatura del proprio essere. Per questo spesso il ritrattista è colui che ha fame di fissare in immagine le continue mutazioni delle migliaia di visi che gli passano accanto ogni giorno; per questo vuole conoscere i loro gusti, i loro bisogni, i loro desideri, le loro attitudini sessuali, le loro letture, i loro odori, le loro perversioni, i loro odi, le loro fantasie. Perché in ciascuna di esse egli trova terreno fertile al sentimento nascosto che in fondo tutti abbiamo: quello di affermare la nostra esistenza e lasciare un segno del nostro passaggio.


©CultFrame 06/2002

 

IMMAGINE

©Fredi Marcarini

 

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Un ritratto di Innocenzo X eseguito da Velazquez


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