Camera Work ⋅ La rivista che segnò un punto di svolta nella fotografia

Clarence White. Spring, 1905. Gum platinum. ©RPS

È il 1 gennaio 1903 quando vede la luce, a New York, il primo numero di Camera Work, la più significativa rivista di fotografia dell’inizio del Novecento, eccezionale testimonianza di un’epoca, determinante per lo sviluppo dell’arte fotografica. In quattordici anni di attività (chiude nel 1917) Camera Work pubblica 50 numeri ricchi di poesie e saggi filosofici, di riproduzioni di opere pittoriche e fotografiche.

Estremamente raffinata e di altissimo livello contenutistico, la rivista proponeva le immagini dei più grandi talenti di quel periodo riprodotte per fotoincisione su carta giapponese. Pagine dedicate a Gertrude Kasebier, Edward Steichen, Clarence H. White, Alvin Langdon Coburn, Octavius Hill, Julia Margaret Cameron e De Zayas ospitavano articoli scritti da intellettuali come George Bernard Shaw, Oscar Wilde e Henri Bergson. La copertina, in stile Art Nouveau, fu disegnata da Edward Steichen, mentre la responsabilità editoriale fu tutta di Alfred Stieglitz, il fondatore della Photo Secession e della Galleria 291, che seppe coinvolgere intellettuali ed artisti e riuscì a dare impulso ad un vivace e fruttuoso dibattito sull’espressione artistica del mezzo fotografico.

Nel 1864 Alfred Stieglitz, appena diciassettenne, lasciò gli Stati Uniti per recarsi a Berlino, dove studiò ingegneria meccanica e scoprì la fotografia. Reduce dagli insegnamenti di Herman Wilhelm Vogel, docente di fotochimica, e carico di esperienze acquisite durante i numerosi viaggi effettuati attraverso l’Europa, Stieglitz ritornò nel suo paese, che valutò artisticamente immaturo e carente nei confronti della fotografia. Ma New York, in piena evoluzione urbanistica, era un terreno fertile per la sensibilità di Stieglitz, il quale, stimolato dai mutamenti della luce e delle stagioni, immortalò la metropoli in immagini che gli valsero riconoscimenti in tutto il mondo.

Fu nominato caporedattore della Society for Amateurs Photographers e successivamente vicepresidente della neonata Camera Club e editore della sua rivista, Camera Notes, ma lasciò l’incarico per creare Camera Work, organo della Photo Secession. Il movimento, nel quale convergevano artisti provenienti da varie culture e mondi creativi differenti, volle lottare contro l’uso massificato e banalizzato del mezzo fotografico e conferire alla fotografia la sua peculiarità linguistica.

Un vero e proprio laboratorio di idee, nel quale regnava l’assoluta libertà, Photo Secession ebbe il merito di generare una nuova estetica. La 291 Gallery nella Quinta Strada divenne punto di aggregazione e luogo di confronto dell’universo artistico dell’epoca, nel quale si riversarono anche autori europei. Stieglitz vi organizzò delle mostre multidisciplinari, ponendo al centro il rapporto tra le arti. Accanto a quadri di maestri come Rodin, Cézanne, Braque, Matisse, Toulouse-Lautrec, Picasso, Brancusi e Picabia venivano esposte stampe fotografiche. Atmosfere pittoriche, evocate per mezzo di sfocature, contorni morbidi e luce soffusa, immagini manipolate, paesaggi urbani e rappresentazioni intimiste trovarono spazio nella galleria di Stieglitz, sostenitore tuttavia della Straight Photography, una poetica tesa ad abbattere i meccanismi posti tra l’autore e la realtà.

Stieglitz, dunque, celebrò l’arrivo del giovane Paul Strand, che, come lui, colse la vita moderna e brulicante di New York, ma diversamente da lui la spogliò dalla sua aura sognante. Con lavori nitidi e diretti, Strand si distaccò definitivamente dal pittoricismo vicino all’impressionismo e aprì una nuova strada verso uno stile innovativo al quale Stieglitz dedicò gli ultimi due numeri di Camera Work.

© CultFrame 02/2002

1 Shares: