Berlinale 2020 ⋅ 70° Festival Internazionale del Cinema di Berlino ⋅ Il programma

Tra gli addetti ai lavori, e non solo, c’è molta curiosità per il nuovo corso della Berlinale che, dopo i due decenni della lunga direzione di Dieter Kosslick, è guidata nel 2020 per la prima volta dalla coppia composta da Carlo Chatrian e Mariette Rissenbeek. Nel corso delle prime settimane dell’anno, erano state annunciate alcune novità nell’articolazione del festival e diffusi, tra l’altro, i programmi delle storiche sezioni Generation, Panorama e Forum che celebra il 50° anniversario con la nuova direttrice Cristina Nord e firme quali Raúl Ruiz, con il suo ultimo progetto sviluppato dalla vedova Valeria Sarmiento, Radu Jude, con due titoli, Gustavo Vinagre o Constanze Ruhm che omaggia l’Anna di Grifi e Sarchielli nel suo Gli appunti di Anna Azzori. Prima della tradizionale conferenza stampa di fine gennaio riguardo al Concorso principale era stato invece anticipato soltanto il nome del Presidente di Giuria, l’attore Jeremy Irons. Solo in un secondo momento sono stati divulgati anche quelli dei suoi colleghi, tra cui l’italiano Luca Marinelli.

Posticipando sino all’ultimo lo svelamento dei titoli selezionati per il Concorso, è su questi che si è accresciuta l’attenzione dei commentatori e di questi è doveroso riferire… ma, intanto, ci sia concessa una divagazione retorica: il lavoro di Chatrian verrà sì giudicato proprio in relazione alla qualità dei film del Concorso, ma non sarà forse che il segno di un cambiamento vada piuttosto rintracciato nella rinuncia ai progetti collaterali NATIVe e Culinary Cinema a vantaggio della creazione di una nuova sezione competitiva denominata Encounters (inaugurata dal nuovo film di Cristi Puiu) per opere dal formato e dai codici espressivi più innovativi? O nell’aver ampliato il fuori concorso di Berlinale Special (con titoli un po’ meno disimpegnati, quali gli ultimi di Jia Zhang-ke o Oleg Sentsov ma anche il Pixar-movie Onward, e che porterà a Berlino persino Hillary Clinton con la docuserie Hillary di Nanette Burstein)? O nel cogliere l’occasione del 70° per riproporre il formato dell’incontro con l’autore nel programma On Transmission, dove sette maestri del cinema presentano un loro film e un’opera di un giovane collega e tra questi Paolo Taviani riproporrà l’Orso d’Oro Cesare deve morire (2012) insieme a Sole di Carlo Sironi presentato nel 2019 a Venezia? O persino nel riuscire a garantire soluzioni logistiche efficaci in un’area, quella di Potsdamerplatz, in cui si sono ridotti di molto gli schermi e i servizi disponibili con la chiusura del Sony Center e la ristrutturazione contemporanea dell’area commerciale delle Arkaden e della fermata della metropolitana U2?

Per quel che comunque riguarda il Concorso, si registrano in primis i ritorni di alcuni registi affezionati a Berlino e già in competizione nel recente passato come l’Orso d’argento per la miglior regia del 2012 Christian Petzold (Undine, dramma ambientato proprio nella capitale tedesca), Philippe Garrel (Le sel des larmes, su di un giovane innamorato di due ragazze), Tsai Ming-liang (Rizi/Days con l’attore feticcio Lee Kang-Sheng e un ragazzo prelevato direttamente dalla strada, Anong Houngheuangsy) e il coreano Hong Sang-soo (Domangchin yeoja/The Woman Who Ran) che dopo la sua ultima partecipazione al concorso nel 2017 con On the beach at night alone ha vinto l’ultima edizione di Locarno diretta da Chatrian con il testamentario Gangbyeon hotel (2018), Abel Ferrara (Siberia, coproduzione italiana), Sally Potter (The Roads Not Taken con Javier Bardem ed Elle Fanning, padre e figlia, Laura Linney e Salma Hayek), gli autori di Louise Michel (2008) e Mammuth (2010) Benoît Delépine e Gustave Kervern (con Effacer l’historique).

Accanto a loro, non mancano opere di altri autori già affermati ma più giovani. Su tutti, e atteso oramai da diversi anni, il libero adattamento del Berlin Alexanderplatz di Döblin di Burhan Qurbani, già regista di Wir sind jung. Wir sind stark (2014), che riattualizza il romanzo quarant’anni dopo la messa in scena televisiva di Fassbinder mettendovi al centro le vicissitudini di un rifugiato africano nei bassifondi berlinesi; o Irradiés del cambogiano francese Rithy Panh e There Is No Evil dell’iraniano Mohammad Rasoulof, a cui il regime persiano ha vietato di lasciare il paese ostacolando anche la realizzazione di questo film. Si conferma poi l’attenzione per il cinema firmato da registe: pur di avere First Cow di Kelly Reichardt non si è badato al fatto che sia già stato presentato in più occasioni (al Telluride e al New York Film Festival) oltreoceano com’è anche il caso di Never Rarely Sometimes Always di Eliza Hittman (al Sundance).

Quanto all’Italia, doppia partecipazione per Elio Germano con Volevo nascondermi di Giorgio Diritti, nuova versione cinematografica della storia di Antonio Costa in arte Ligabue, e con Favolacce dei fratelli Damiano e Fabio D’Innocenzo – già a Berlino due anni fa, ma nella sezione Panorama, con La terra dell’abbastanza – ed ennesima firma collettiva del Concorso, come anche per Schwesterlein delle registe Stéphanie Chuat e Véronique Reymond con Nina Hoss e Lars Eidinger.

Nella selezione di Panorama verrà invece presentato Semina il vento, opera seconda di Danilo Caputo ambientata negli uliveti pugliesi minacciati da un parassita. In Generation si vedrà Palazzo di giustizia, esordio nella finzione di Chiara Bellosi, mentre passeranno in Forum La casa dell’amore di Luca Ferri, un notturno filmato a lume di candela con protagonista una prostituta transessuale che vive a Quarto Oggiaro, e Zeus Machine. L’invincibile di Zapruder (Nadia Ranocchi e David Zamagni), già Premio della giuria al Filmmaker 2019. Nell’ambito del programma speciale per i cinquant’anni di Forum si ritroveranno poi alcune pellicole proposte nel 1971, quali Ossessione di Visconti, Ostia di Sergio Citti, e Othon o Gli occhi non vogliono in ogni tempo chiudersi di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet. Da segnalare anche il restauro de Il bidone di Federico Fellini in Berlinale Classics. La retrospettiva principale di quest’anno sarà su King Vidor, “un modo per tracciare e comprendere mezzo secolo di storia di Hollywood ma anche degli Stati Uniti” secondo Rainer Rother, curatore e direttore artistico della Deutsche Kinemathek.

Sospeso per le recenti rivelazioni sul passato nazista di Alfred Bauer il premio tradizionalmente a lui intitolato, verranno assegnati l’Orso d’Oro all’attrice Helen Mirren e un Premio alla carriera, la Berlinale Camera, alla regista e artista Ulrike Ottinger che lo scorso anno aveva presentato la versione restaurata di Dorian Gray im Spiegel der Boulevardpresse (1984) nell’ambito della retrospettiva dedicata alle registe tedesche della DDR e che porterà quest’anno fuori concorso il suo nuovo documentario Paris Calligrammes. Un menù nient’affatto scarso, sulla carta, quello allestito per questa 70a edizione del festival che metterà a dura prova le forze degli accreditati. Il bilancio finale si potrà fare solo a inizio marzo.

© CultFrame 02/2020

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