Un giorno di pioggia a New York ⋅ Un film di Woody Allen

«Adorava New York. La idolatrava smisuratamente…». Questo è il mantra della filmografia di Woody Allen, incantato da un luogo che non è solo una metropoli, ma il vero centro del mondo, del suo mondo, in cui arte, letteratura, musica, cinema e urbanistica si fondono per dare vita a un organismo che ha sempre qualcosa di nuovo da raccontare. Tuttavia affidarsi ai topoi, per quanto rassicuranti possano apparire, non garantisce la riuscita di una narrazione anzi, rischia di creare un puzzle in cui i pezzi vengono incastrati a forza, fino a creare un’immagine sgranata, che rimanda a qualcosa che riusciamo a cogliere solo facendo un grande sforzo di immaginazione.

È quanto accade con Un giorno di pioggia a New York, ultimo lavoro di Woody Allen in cui il regista tenta, in ogni modo, di somigliare a se stesso: si lascia cullare dalla sua amata Manhattan, dai luoghi simbolo di una città che non smette mai di trasformarsi pur mantenendo la propria identità, ma sembra guardarla con occhi malinconici, quasi tentasse di rendere tangibili oggi dei ricordi che appartengono a un tempo passato, memorabile ma irrecuperabile.

La sceneggiatura è semplice, a tratti banale: Gatsby Welles, giovane newyorchese in piena ribellione con la sua città natale, troppo coinvolgente e frenetica, e con la sua famiglia, troppo ricca e moralista, frequenta un college “fuori mano”, circondato dal verde, dove si è innamorato di Ashleigh, un’ingenua (ai limiti del tollerabile) ragazza di provincia dell’Arizona che vuole diventare giornalista. Quando ad Ashleigh viene offerto di andare a New York per intervistare uno dei più importanti registi contemporanei, Roland Pollard, in occasione dell’uscita del suo ultimo film, Gatsby coglie l’occasione per organizzare un romantico weekend e far vedere alla fidanzata alcuni dei luoghi simbolo della città, senza sapere che New York finirà per travolgerli in un vortice di eventi che non faranno altro che allontanarli.

Woody Allen

I giovani protagonisti di Allen, per tutta la durata del film, portano sulle spalle un pesante fardello interpretativo: il loro regista è (o era) il maestro della rappresentazione della nevrosi, di un’introspezione così viscerale da far emergere un’ironia pungente e dissacrante nelle situazioni più disparate così come in quelle più banali, ma in questo caso, sembra lecito dirlo, pretende qualcosa che i suoi attori non possono offrirgli. Il giovane Gatsby, che porta un nome altisonante ma sembra somigliare più a Holden Caulfield, è costretto a sostenere un’aspettativa che non viene mai soddisfatta. La giacca di tweed indossata svogliatamente come segno distintivo, l’amore per l’arte e per le canzoni anni ’40 suonate al pianoforte bilanciate, ma solo in parte, dalla paradossale incapacità di perdere al gioco, non riescono a colmare la sensazione di scollamento tra il personaggio e la realtà, profondamente contemporanea, in cui viene immerso, ed è altrettanto evidente che non si tratta di una crisi di identità costruita in fase di sceneggiatura. È una carenza, un cortocircuito che si ripete anche sul personaggio di Ashleigh: giovane, bella, ambiziosa, apparentemente inconsapevole del proprio fascino ma che finisce (continuamente) in balia di uomini che in lei non vedono altro che un bel corpo e un’ingenuità dal potere salvifico, quasi come se una citazione mal riportata o la totale inconsapevolezza di ciò che si è potessero trasformarsi in intuizioni esistenziali altrimenti irraggiungibili. Entrambi si sforzano di essere all’altezza, gesticolano, usano la postura e il proprio corpo per dare senso a ciò che dicono, ma finiscono per diventare teatrali, meccanici, del tutto innaturali.

Se ciò non bastasse, anche la fotografia di Vittorio Storaro, già collaboratore di Allen per Café Society e La ruota delle meraviglie, contribuisce ad alimentare una generale mancanza di credibilità alla storia: la pioggia, che cade incessante con la volontà di dipingere un particolare alone di romanticismo intorno alla vicenda e ai personaggi, viene del tutto rinnegata dai colori pastello e dalla luce dorata e ambrata che si ritrova negli interni, in totale paradosso tra dentro e fuori, tra intento e realizzazione.

La scrittura di Allen, in particolare per quanto riguarda i dialoghi, non raggiunge mai l’incisività e l’ironia che hanno caratterizzato tante sue opere precedenti. Si sente forte la distanza tra i suoi ultimi lavori e la filmografia del passato, tanto da non poterli percepire come opere di un regista che, per molte ragioni, ha davvero segnato la storia del cinema contemporaneo.

Un giorno di pioggia a New York non è un film sgradevole, ma certamente non è indimenticabile. È Woody Allen, ma non un grande Woody Allen.

© CultFrame 12/2019

TRAMA
Gatsby e Ashleigh, due fidanzati del college, decidono di passare un romantico weekend a New York: Ashleigh ha in programma un’importante intervista, Gatsby vuole farle conoscere i luoghi più belli della città, ma non appena vi mettono piede si ritrovano separati e si imbattono in una serie di incontri casuali e bizzarre avventure, ciascuno per proprio conto.


CREDITI
Titolo: Un giorno di pioggia a New York / Titolo originale: A Rainy Day in New York / Regia: Woody Allen / Sceneggiatura: Woody Allen / Interpreti: Timothée Chalamet, Elle Fanning, Selena Gomez, Jude Law, Diego Luna, Liev Schreiber, Annaleigh Ashford, Rebecca Hall, Cherry Jones, Will Rogers, Kelly Rohrbach / Fotografia: Vittorio Storaro AIC, ASC / Montaggio: Alisa Lepselter ACE / Scenografia: Santo Loquasto / Produzione: Gravier Productions, Perdido Productions / Paese: Stati Uniti 2019 / Distribuzione: Lucky Red / Durata: 92 minuti

SUL WEB
Filmografia di Woody Allen
Lucky Red

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