CAMERA POP ⋅ La fotografia nella Pop Art di Warhol, Schifano & Co. ⋅ In mostra a Torino

Ronald Brooks Kitaj. Mahler Becomes Politics, Beisbol, 1964-7. Serigrafia stampata a colori da Kelpra Studio e pubblicate da Marlborough Fine Art Ltd. Edizione di 70, varie misure ma cm 84.5 x 58.5 misura massima. Courtesy Fondazione Sardi per l’Arte, Torino. Fotografie di Ernani Orcorte © The estate of R. B. Kita

“La pop art è popolare, transitoria, superflua, lowcost, destinata alle masse, giovane, furba, sexy, ingannevole, glamorous e redditizia”: così si esprimeva nel 1957 Richard Hamilton, esponente ed esegeta di un fenomeno espressivo che nel bene e nel male ha rivoluzionato non solo l’arte ma la cultura dagli anni Cinquanta a oggi. Ed è a partire da alcune delle parole-chiave convocate da Hamilton che si struttura la mostra CAMERA POP. La fotografia nella Pop Art di Warhol, Schifano & Co. aperta fino al 13 gennaio a CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia di Torino. Popular, glamourous, mass-produced, young, sexy, machine-like: tutte proprietà che mettono in gioco le diverse sfaccettature del rapporto tra creazione artistica e società di massa. In mostra sono esposte 150 opere tra quadri, fotografie, collages, cartelle grafiche, che ripercorrono il rapporto fondamentale tra la fotografia e tutte le altre pratiche impiegate nell’avventura pop.

Ne emergono sostanzialmente due grandi filoni. Il primo mette in luce la fotografia come linguaggio che ha raccontato il fenomeno pop dalla Swinging London alla New York della Factory documentando volti, gesti, estetiche, situazioni ma anche mettendole in scena e così contribuendo alla costruzione di una mitologia al quadrato, ovvero la mitologia di un movimento che a propria volta ragionava e si fondava sulla centralità dell’immagine, dell’idolo di massa, della divinità estetica nelle società occidentali dell’epoca.

Robert Rauschenberg. Senza titolo, 1988. Acrilico e trasferimento con solvente su ingrandimento fotografico di Gianfranco Gorgoni (1941), stampa su tela, cm 185 x 322.. Collezione privata © Robert Rauschenberg by SIAE 2018
Robert Rauschenberg. Senza titolo, 1988. Acrilico e trasferimento con solvente su ingrandimento fotografico
di Gianfranco Gorgoni, stampa su tela,.  Collezione privata © Robert Rauschenberg by SIAE 2018

Una delle sale è interamente dedicata ad Ugo Mulas con una quarantina di immagini splendide scattate tra la Biennale di Venezia nel 1964, anno del conferimento del Gran Premio della Pittura a Robert Rauschenberg, e la Factory nel 1965, anno fondamentale per Warhol. È infatti allora che egli si vide dedicare la prima retrospettiva personale dall’Institute of Contemporary Art dell’Università della Pennsylvania a Philadelphia e in quello stesso anno la Galleria di Gian Enzo Sperone a Torino organizzò la prima mostra italiana dell’artista newyorkese.

Il secondo filone che emerge dalla riflessione della mostra curata da Walter Guadagnini chiama in causa la foto come punto di partenza del processo creativo dell’opera d’arte o come elemento integrato a partire dal quale si realizzano varianti e interventi di pittura o scultura come nei famosi specchi di Michelangelo Pistoletto (in mostra c’è Ragazza che cammina del 1966), nelle bellissime serigrafie di Ronald Brooks Kitaj o nel notissimo Futurismo Rivisitato di Mario Schifano che riprende a stencil con spray e smalti le sagome dei futuristi immortalati in un celebre scatto realizzato nel 1912 a Parigi.

Claudio Cintoli. Mezza bocca per G.D., 1965. Olio su tela, cm 100 x 80,5. Collezione Lanfranchi. Fotografia di Pietro Notarianni. © Eleonora Manzolini Cintoli
Claudio Cintoli. Mezza bocca per G.D., 1965. Olio su tela.. Collezione Lanfranchi. Fotografia di Pietro Notarianni. © Eleonora Manzolini Cintoli

In questo caso, tirare il filo rosso della fotografia nella fitta trama di relazioni tra le tecniche espressive nel pop permette di restituire tutto il discorso sull’industrializzazione delle forme e dei mezzi di produzione della cultura di massa, sulla circolazione delle immagini, sulla produzione in serie di opere come fossero automobili o altri oggetti di consumo qualsiasi, sul rovesciamento del sistema dei valori dell’arte in un mondo in cui non ha più alcun senso la nozione di “originale”, di “autentico” o “unico”. Solitamente, le opere in mostra si servono di cliché già belli e pronti, di fotografie che sono come dei ready made, che riproducono icone già codificate come il Mao stampato sul libretto rosso o la Marylin ritratta in una foto di studio hollywoodiano la cui riproduzione in serie esponenziali sottolinea il carattere non suggestivo dell’immagine, la sua appartenenza all’universo dei multipli, dei duplicati, delle riproduzioni infinite, degli idoli di massa.

C’è un filo rosso non esplicitato eppure evidente in tutta la mostra che è il rapporto con un altro linguaggio fondamentale nel pop, il cinema. La mostra si apre con una sala dedicata al glamour che, pur non tematizzandola esplicitamente, chiama in causa la contiguità tra la fotografia e il cinema: le fotografie di Ken Heyman che a New York immortala Andy Warhol, Roy Lichtenstein, Claes Oldenburg, James Rosenquist e Tom Wesselmann e quelle in cui Tony Evans a Londra ritrae Peter Blake, David Hockney, Allen Jones, Joe Tilson, Derek Boshier e Pauline Boty hanno tutto il dinamismo del cinema di Jonas Mekas, Robert Breer o di Warren Sonberg che con le loro pellicole ritrarranno gli stessi protagonisti di quella stagione in un dialogo continuo tra le arti. Allo stesso modo possono essere intesi i bellissimi scatti di Mario Schifano e Franco Angeli, rappresentanti con Tano Festa della cosiddetta “Scuola di Piazza del Popolo”, che si ritraggono a vicenda anche loro avvolti in un universo in cui la pellicola è sia fotografica che cinematografica.

Ed Ruscha. Every Building on the Sunset Strip, 1966. Litografia offset da collage fotografico, cm 17,8 x 14,3 x 1 (chiuso); cm 17,8 x 754 (aperto spiegato). Courtesy Galleria Milano, Milano © Ed Ruscha
Ed Ruscha. Every Building on the Sunset Strip, 1966. Litografia offset da collage fotografico. Courtesy Galleria Milano, Milano © Ed Ruscha

L’impronta del cinema è presente sottotraccia non solo come linguaggio formale fatto di luci, ombre, angolature sghembe capaci di imprimere un senso di movimento alle still bensì anche come universo immaginario dello stardom, della fama planetaria, chiamato in causa dalle effigi di Marilyn o Brigitte Bardot. Infine, a suggerire il ruolo svolto dalla fotografia come trait d’union tra le arti plastiche/pittoriche e il cinema, vanno citati gli eleganti disegni di Umberto Bignardi che rendono omaggio a Eadweard Muybridge, sperimentatore della cronofotografia e precursore delle motion pictures.

© CultFrame 10/2018

INFORMAZIONI
CAMERA POP. La fotografia nella Pop Art di Warhol, Schifano & Co. / A cura di Walter Guadagnini
Dal 21 settembre 2018 al 13 gennaio 2019
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia / Via delle Rosine 18, Torino / Tel. +011.0881150 / camera@camera.to
Orari: lunedì, mercoledì, venerdì-domenica 11.00 – 19.00 / giovedì 11.00 – 21.00 / chiuso martedì
Biglietti: Intero: € 10 / Ridotto € 6

SUL WEB
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia

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