La stanza delle meraviglie ⋅ Un film di Todd Haynes

Cinquant’anni separano la vita di Rose e di Ben, due adolescenti che si avventurano da soli, in epoche diverse, alla scoperta del mondo. La prima, vive ad Hoboken, nel New Jersey, nel 1927; il secondo a Gunflint, nel Minnesota, nel 1977.

La storia – ispirata al romanzo illustrato di Brian Selznick (già autore di La straordinaria invenzione di Hugo Cabret) che qui ha firmato anche la sceneggiatura – si svolge in questo lungo lasso di tempo dentro il quale entrambi percorreranno gli stessi sentieri, batteranno le stesse strade, alla ricerca di qualcosa che li porti, finalmente, a sentire – letteralmente – ciò che li circonda. Rose, infatti, è non udente fin dalla nascita; Ben, invece, lo è diventato in seguito a un incidente. Tutti e due esperiscono un universo muto e altrettanto sordo alle loro richieste e ai loro desideri, forzatamente confinati in un silenzioso isolamento.

Quella per le stelle è una passione che li unisce anche se in modo decisamente differente. La giovane nutre un’adorazione per le star di Hollywood e, in particolare, per la diva Lillian Mayhew (interpretata da Julianne Moore alla quarta collaborazione con Haynes dopo Safe, Lontano dal paradiso e Io non sono qui) mentre il ragazzino scruta con curiosità il firmamento, affascinato da una frase di wildiana memoria (“Siamo tutti nei bassifondi ma alcuni di noi guardano le stelle”) che sua madre, prematuramente scomparsa, era solita ripetergli.

Sia Rose, sia Ben sono alla ricerca di qualcosa, o meglio, di qualcuno: lei di un’attrice che ha mitizzato, lui di un padre che non ha mai conosciuto. Fuggiti entrambi da famiglie che percepiscono come ambienti distanti ed estranei, decidono di intraprendere un viaggio verso New York, quella città che potrebbe avere le risposte a tutte le loro domande.

Seguendo in montaggio alternato il percorso dei due protagonisti, Todd Haynes racconta l’avventurosa esplorazione dei ragazzi anche per mezzo dello scambio cromatico del cammino di entrambi. La New York in bianco e nero del 1927 vede Rose raggiungere, nel dedalo periglioso delle strade della Grande Mela, il teatro dove incontrerà Lillian, il suo idolo, così come la metropoli dai colori accesi degli anni Settanta conduce Ben, attraverso gli angoli fatiscenti di quartieri che il degrado ha sottratto agli antichi fasti, nel luogo dove potrà far luce sul mistero paterno.

Ancora una volta, come nelle corde della narrazione di Selznick, l’intera vicenda muove dalla malìa dell’immaginazione intesa come pura “meraviglia”. Nulla, in realtà, che abbia a che fare con la magia o con il soprannaturale quanto, invece, con gli arcani intrecci del tempo – o forse del caso – in grado di produrre effetti strabilianti tesi ad affascinare e/o a solleticare la fantasia di quell’animo bambino che è in ognuno di noi.

A tale incanto Haynes si presta con un velato compiacimento, attingendo dagli echi lontani degli albori della settima arte per calare la sua diva Mayhew nella formidabile atmosfera dei silent-movie alla Murnau, e con un vigore che lo spinge praticamente ad un accumulo parossistico di “prodigi” visivi, soprattutto grazie all’accurato lavoro dello scenografo Mark Friedberge, della costumista Sandy Powell e del direttore della fotografia Ed Lachman.

Todd Haynes
In questo impianto visuale costruito con studiata eleganza, la cui perizia finisce addirittura per risultare fin troppo fredda e formale, il regista di Los Angeles non riesce tuttavia a far filtrare il soffio emozionale della vicenda dei due ragazzi, indugiando sulla perfezione di certi dettagli e finendo per trascurare il nucleo emotivo del racconto, e in particolar modo quello istintivo e viscerale della ricerca identitaria di Rose e di Ben. Nei cinquant’anni che li separano ma, al contempo, intrecciano il loro destino, New York si fa paradigma di un mondo che cambia e non soltanto nella morfologia della città.

Il 1927, anno del passaggio dal muto al sonoro, (con Il cantante di Jazz di Alan Crosland) segna un momento clou della storia del cinema, dando finalmente voce a quei “sogni” che per chi non può sentire continueranno, però, a restare avvolti nell’assenza del suono, buio come la lunga notte in cui la città piombò nel luglio del ’77 a causa di un eccezionale blackout che entrò nella storia.

Separati dalle epoche ma uniti dal fato i giovani protagonisti, nel loro percorso parallelo, avrebbero dovuto portare con sé l’incanto e lo sgomento di quella straordinaria scoperta che è la crescita ma qui finiscono per smarrirsi in una metropoli che, anche riprodotta nel modellino di un complesso plastico, si rivela un’architettura posticcia, un grande praticabile teatrale su cui si muovono personaggi silenti quasi spinti a forza, come in un lezioso movimento del boule de neige, dentro un universo artefatto al quale i suoni d’ambiente e la reiterata melodia composta da Carter Burwell tolgono pressoché l’aria.

Le suggestioni del cinema e della fiaba vengono così private del loro potere autenticamente incantatorio, ossia dell’unica chiave di accesso per entrare davvero nella “stanza delle meraviglie” e riannodare i fili del passato e del presente.

Allo svelamento finale – non privo di un eccesso di commozione – si arriva, invece, al termine di un estenuante percorso in cui i buoni sentimenti, fin troppo “decorativi”, gravano sulla trama di un tessuto narrativo che, come un prezioso broccato, fa sfoggio della minuzia della forma a scapito della fattura affascinante della sostanza.

© CultFrame 06/2018

TRAMA
Ben è alla ricerca del padre che non ha mai conosciuto, Rose sogna di incontrare una diva del cinema della quale colleziona foto e notizie nel suo album. Le loro vite corrono, misteriosamente, su due binari paralleli, separati da ben cinquant’anni. Mentre la giovane vive nel New Jersey nel 1927, il ragazzino abita nel Minnesota nel 1977. Entrambi non udenti (lei è nata sorda e lui lo è diventato a causa di un incidente), fuggono dalle famiglie per intraprendere un percorso di ricerca identitaria che condurrà tutti e due a New York. Sarà proprio nella Grande Mela che Rose e Ben scopriranno la simmetria delle loro esistenze e sveleranno il mistero del loro destino intrecciato.


CREDITI
Titolo originale: Wonderstruck / Regia: Todd Haynes / Sceneggiatura: Brian Selznick dal suo omonimo romanzo illustrato / Interpreti: Oakes Fegley, Millicent Simmonds, Julianne Moore, Jaden Michael / Fotografia: Ed Lachman / Montaggio: Affonso Goncalves / Scenografia: Mark Friedberg / Musica: Carter Burwell / Costumi: Sandy Powell / Produttori: Brian Bell, Sandy Powell / Paese: Usa, 2017 / Distribuzione: O1 Distribution / Durata: 117 minuti

SUL WEB
Filmografia di Todd Haynes
01 Distribution

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