Dovlatov ⋅ Un film di Aleksej German Jr

Già in concorso alla Berlinale 2015 con Under Electric Cloud – che era stato premiato da un orso d’argento per meriti tecnici – Aleksej German Jr. ha presentato a Berlino nel 2018 il suo omaggio a uno degli scrittori espatriati più noti dell’ex URSS: Sergei Dovlatov è infatti divenuto celebre soltanto quando ha potuto pubblicare in Occidente e si è deciso a emigrare – tramite un visto per Israele – negli Stati Uniti; e solo dopo la fine del comunismo i suoi testi sono stati letti in Russia.

Di origini armene ed ebraiche, per le quali fu ostracizzato da un antisemitismo diffuso negli apparati sovietici, Dovlatov (qui interpretato dal serbo Milan Marić) era un uomo attraente, ironico e poco incline ad accettare i dogmatismi imposti dalla burocrazia dell’epoca. Tuttavia, mai avrebbe voluto lasciare la propria madrepatria e la propria lingua e gli ci volle molto tempo per convincersi che l’unica soluzione agli ostacoli posti di fronte alla sua carriera di scrittore fosse l’esilio. Prima degli Stati Uniti, tra il 1972 e il 1975 trascorse tre anni a Tallinn, in Estonia, lavorando in una redazione e arrivando a un passo dal vedere pubblicato il suo primo romanzo: un esordio sfumato quando le bozze erano già pronte com’è raccontato in una delle sue opere più tragicomiche, Il libro invisibile (edito da Sellerio a cura di Laura Salmon, al pari di molti altri suoi testi).

German Jr. ha scelto di mostrare nel suo film sei giornate della vita di Dovlatov nel novembre 1971, prima dell’esilio americano, subito prima anche del periodo estone, e dopo il suo ritorno a Leningrado a seguito del servizio militare trascorso da sorvegliante in un campo di lavoro, un’esperienza narrata in quello che avrebbe dovuto essere il suo romanzo d’esordio e che invece apparirà, e non per primo, solo diciotto anni più tardi, negli Stati Uniti. Lo spettatore si ritrova quindi precipitato nel limbo in cui Dovlatov visse a lungo, collezionando un rifiuto editoriale dopo l’altro, ma anche nell’abbraccio e nella quotidiana solidarietà del gran numero di artisti che condividevano le alterne fortune dell’aspirante esordiente spingendolo, com’egli scrisse “al limite della disperazione umana”.

Nel 1971 c’era ancora a Leningrado – e German Jr. gli concede ampio spazio – l’amico Iosif Brodskij, pure lui destinato a lasciare per sempre la Russia pochi mesi più tardi. Compaiono poi nel coro polifonico di compagni più e meno immaginari del protagonista il poeta operaio Anton Kuznetsov, lo scrittore Andreij che si taglia i polsi dopo l’ennesima mancata pubblicazione, il pittore David che intrattiene un traffico di mercato nero con la Finlandia e finisce i suoi giorni inseguito dalla polizia in una delle poche scene didascaliche di un film altrimenti rigoroso e pregno dell’humour e della vitalità dovlatoviani.

D’altronde, è qui portata in scena la generazione del padre del regista e regista anch’egli Aleksey German, classe 1938 e nativo appunto di Leningrado, una generazione che tra gli anni Sessanta e Settanta sognò di poter cambiare il mondo sovietico grazie all’arte ma dovette subire molteplici disillusioni. La musica rock e jazz al Caffè Saigon, qualche episodica riuscita su di una rivista letteraria, le pubblicazioni clandestine dette “samizdat” e moltissimo alcool tenevano unita questa comunità in un modo che ancora prima di emigrare Dovlatov già sembra guardare con nostalgia.

Aleksej German Jr.

Lo stesso fa German Jr., ritraendo l’insensatezza, l’ esuberanza e l’umorismo del popolo russo che Dovlatov ha saputo raccontare con maestria traendo ispirazione diretta dalla propria autobiografia e dalle conversazioni che trascriveva sempre nei suoi taccuini (mentali e cartacei). I momenti migliori del lungometraggio sono quindi i piani sequenza claustrofobici realizzati nell’appartamento della madre dello scrittore, che ci vive dopo la separazione dalla moglie e dalla figlia insieme a una quantità di altri co-affittuari; nelle redazioni in cui attendere il verdetto sui propri manoscritti; nei caffè o nelle feste dove è forse possibile trovare una raccomandazione; in esterni che risultano anch’essi claustrofobici per la nebbia e il biancore che accerchia i personaggi.

Questi momenti sono alternati a una serie di quadri onirici ambientati in spiagge e lande innevate nei quali invece l’orizzonte si apre, senza però alcun esito concreto per la vita del protagonista. Ma è davvero possibile distinguere fantasia e realtà nel crepuscolo di un regime in corso di dissoluzione in cui ogni missione ideologica sembra oramai uno stanco artificio? Con una tecnica compositiva che può ricordare alcuni testi dello scrittore stesso, il regista e sceneggiatore German Jr. ne ha raccolto aneddoti e aforismi e ne ha messo in scena la vita – anche grazie all’aiuto delle figlie – in un momento storico in cui la condanna del regime sovietico è quanto mai consona all’attuale governo post-comunista della Russia, dove pochi mesi fa il Centesimo anniversario della rivoluzione d’Ottobre è stato commemorato in tono sommesso e poco celebrativo. Analogamente, vediamo il personaggio di Dovlatov disinteressarsi delle celebrazioni del novembre 1971 che hanno luogo molto sullo sfondo del film, ma è bene ricordare che egli non fu un autore direttamente politico, e dissidente, se non per una fede incrollabile nella scrittura come sua unica ragione di vita, per l’arte come sola peculiarità da salvaguardare dell’essere umano.

Il messaggio trasmesso esplicitamente allo spettatore dalle parole rivolte al protagonista “Ci vuole coraggio a rimanere integri quando non si è nessuno” e il suo grido finale “noi esistiamo” rivendicano il diritto a vivere e creare anche nel caos brulicante di un mondo in decadenza, da cui invece sorgevano – riconosciuti o meno – alcuni dei maggiori interpreti della cultura russa del Novecento.

© CultFrame 02/2018 – 2021
Film presentato alla 68. Berlinale

TRAMA
Dal 1° al 6 novembre 1971, a Leningrado, sei giorni nella vita dello scrittore Sergej Donatovič Dovlatov (1941–1990), costretto a lavorare come giornalista per sbarcare il lunario ma di fatto incapace anche di scrivere articoli che fossero giudicati pubblicabili. L’esordio letterario è destinato a rimanere per decenni solo un miraggio.


CREDITI
Titolo originale: Dovlatov / Regia: Aleksej German Jr. / Sceneggiatura: Aleksej German Jr., Tupikina / Fotografia: Łukasz Żal / Montaggio: Sergey Ivanov, Darya Gladysheva / Scenografia e costumi: Elena Okopnaya / Interpreti: Milan Marić, Danila Kozlovsky, Helena Sujecka, Artur Beschastny, Artur Beschastny, Anton Shagin / Produzione: LenFilm, Message Film, Art&Popcorn / Russia, Polonia, Serbia, 2018 / Durata: 126 minuti

SUL WEB
Filmografia di Aleksej German Jr.
CULTFRAME. Berlinale 2018 – Il programma
Berlinale – Il sito

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