68° Berlinale ⋅ Festival Internazionale del Cinema di Berlino ⋅ Il programma

Dal 15 al 25 febbraio 2018, la 68a Berlinale diretta anche quest’anno (forse per l’ultima volta?) dal settantenne Dieter Kosslick ambisce ad essere un festival-mondo, a partire dalla sua articolazione in molteplici sezioni eterogenee e tra loro complementari per il modo in cui esplorano formati, generi e linguaggi cinematografici. Inoltre, negli ultimi anni lo scaltro Kosslick ha aperto sempre di più la sua kermesse al mondo cucendo intorno al Festival quell’immagine inclusiva e consensuale che si costruisce tenendo conto dell’aria che tira nel dibattito pubblico a livello internazionale. Non stupisce perciò che la Berlinale prenda ampiamente posizione sposando la parola d’ordine #metoo, retorica e costruttrice di un ethos di impegno e solidarietà molto politicamente corretto. Così come due anni fa aveva dato vita a una raccolta fondi per i rifugiati ben pubblicizzata dall’allora presidente di giuria Meryl Streep – oggi molto attiva anche sul fronte della lotta alle molestie sessiste – che si presentò a Berlino dichiarando “we are all Africans” e poi premiò Fuocoammare di Gianfranco Rosi.

Quest’anno, inevitabilmente, l’attenzione dei media più e meno specializzati già si concentra su queste campagne promosse dal festival, sull’Orso d’Oro alla carriera a Willem Defoe, sul film d’animazione che inaugura il Concorso in quello che per il calendario cinese è l’anno del cane, Isle of Dogs di Wes Anderson, o su opere quali il documentario Songwriter dedicato da Murray Cumming al cugino e star della musica indipendente Ed Sheeran. Ma dal programma delle proiezioni ufficiali emerge una selezione che desidera restituire una rappresentazione del mondo ancor più multiforme e cangiante.

Nel Concorso si segnalano il nuovo Gus Van Sant sul disabile-disegnatore John Callahan interpretato da Joaquin Phoenix e ben quattro film tedeschi (Transit di Christian Petzold tratto dal libro di Anna Seghers; 3 Tage in Quiberon di Emily Atef sul tramonto di Romy Schneider; un fluviale Philip Gröning sull’adolescenza di un fratello e una sorella gemelli; una storia su un amore al lavoro e sul lavoro dell’amore diretta da Thomas Stuber) ma anche Ang panahon ng halimaw (Season of the Devil) di Lav Diaz, Dovlatov di Alexey German Jr., Khook (Pig) dell’iraniano Mani Haghighi, figlio eccentrico del decano Ebrahim Golestan, Twarz (Mug) di Małgorzata Szumowska, Touch me not della rumena Adina Pintilie, Utøya 22. juli del norvegese Erik Poppe e Toppen av ingenting (The Real Estate) degli svedesi Måns Månsson e Axel Petersén.

La giuria principale presieduta dal regista Tom Tykwer e composta da Cécile de France, Chema Prado, Adele Romanski, Ryūichi Sakamoto e Stephanie Zacharek dovrà giudicare anche Figlia mia, coproduzione internazionale dell’italiana Laura Bispuri che torna a Berlino con Valeria Golino e Alba Rohrwacher tre anni dopo Vergine giurata. Nella giuria del miglior documentario si segnala la presenza di Ulrike Ottinger e in quella per il premio della miglior opera prima siede anche Jonas Carpignano.

A parte Lorello e Brunello di Jacopo Quadri incluso nel menù della sezione Kulinarisches Kino – già in concorso all’ultimo TFF – nella sezione Panorama c’è l’altra prima italiana di quest’edizione, La terra dell’abbastanza dei fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo, un viaggio di due ragazzi nell’inferno del malaffare ambientato nelle periferie romane contemporanee. In Panorama spiccano poi un insieme di opere che raccontano il rigurgito delle destre e dei nazionalismi nel mondo, non poche distopie sociali, e la consueta selezione queer del programma, a cui è affidata la speranza di una celebrazione delle differenze e dell’anticonformismo, dell’autodeterminazione e del rifiuto del vittimismo. Oltre ai nuovi lavori che si annunciano insoliti di Ursula Meier e Kim Ki-duk.

Particolarmente interessante, il Forum 2018 ha come leitmotiv quello di un “ritorno al futuro”, della necessità di pensare e studiare il passato per prepararsi al futuro attraverso un percorso nell’underground tedesco (Reitz), giapponese (Sato) e jugoslavo (Pavlović) dei Sessanta/Ottanta e con documentari quali Den’ Pobedy (Victory Day) di Sergei Loznitsa, che filma le celebrazioni al Memoriale sovietico del Treptower Park che ogni anno ricordano la vittoria dell’armata rossa sui nazisti; Waldheims Walzer di Ruth Beckermann sulla campagna del presidente austriaco Kurt Waldheim che voleva far dimenticare di essere stato nazista; Unas preguntas di Kristina Konrad sulla storia ancora in gran parte da scrivere della dittatura in Uruguay; Djamila di Aminatou Echard che filma in super8 la società rurale kirghisa di oggi. Da non perdere anche l’ultimo film dell’infaticabile Hong Sangsoo.

Dentro e fuori dalle sale, Forum Expanded propone videosaggi e installazioni di videoarte legate a un’idea di cinema in continua mutazione. Qualche esempio: An Untimely Film for Every One and No One con Jean-Luc Nancy, la mostra Mechanism Capable of Changing Itself (da una definizione del marxismo applicata da Maya Deren alla sua teoria del cinema), la successione di quadri monocromatici 6144 x 1024 di Margaret Honda, della durata prevista di 2182 minuti, la performance musicale The Invisible Hands con Alan Bishop.

Non va dimenticata, infine, la retrospettiva sul cinema di Weimar con quasi trenta film molto diversi – e di autori non necessariamente celebrati all’epoca quali Erich Waschneck, Gerhard Lamprecht e Werner Hochbaum – a cui si lega anche la sezione Berlinale Classics grazie al titolo d’apertura, Das alte Gesetz di Ewald André Dupont (1923) restaurato dalla Deutsche Kinematek con una nuova musica composta da Phillippe Schoeller che sarà suonata dal vivo dalla Orchester Jakobsplatz di Monaco. Tra i film restaurati digitalmente Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, il primo film di Ildiko Enyedi My 20th Century, che vinse lo scorso anno l’orso d’oro con Corpo e anima.

© CultFrame 02/2018

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