Fotografia Giapponese Settanta/Duemila. Lo sguardo sul mondo contemporaneo in mostra a Roma

© Ryuji Miyamoto, Sannomiya, Chuo-ku, serie KOBE 1995 After the Earthquake, 1995
© Daido Moriyama, Kanagawa, 1969
© Daido Moriyama, Kanagawa, 1969

Un tunnel deserto, forse percorso da un’automobile o da qualche altro mezzo di cui non ci è dato sapere niente, forse un vagabondare senza meta nella notte, o forse no. Un viaggio verso un luogo sconosciuto, inevitabilmente in un’unica direzione, senza la possibilità (o la volontà) di tornare indietro. Con l’inquietudine e la forza evocativa che contraddistingue l’intera sua produzione, l’immagine dell’artista Daido Moriyama ci introduce alla mostra dal titolo Fotografia Giapponese Settanta/Duemila. Lo sguardo sul mondo contemporaneo, a cura di Rei Masuda (The National Museum of Modern Art di Tokyo), allestita a Roma, presso la sede dell’Istituto Giapponese di Cultura.

Una mostra collettiva costituita dalle opere di ventitre autori tra i più significativi sulla scena artistica giapponese: Daido Moriyama, Shomei Tomatsu, Nobuyoshi Araki, Kazuo Kitai, George Hashiguchi, Mitsugu Ohnishi, Tokuko Ushioda, Hiromi Tsuchida, Hiroh Kikai, Masato Seto, Shuji Yamada, Akihide Tamura, Eiji Ina, Hitoshi Tsukiji, Toshio Shibata, Norio Kobayashi, Toshimi Kamiya, Yutaka Takanashi, Kikuji Kawada, Ryuji Miyamoto, Takashi Homma, Miyuki Ichikawa, Risaku Suzuki.

© Takashi Homma, serie Tokyo Suburbia, 1995-98
© Takashi Homma, serie Tokyo Suburbia, 1995-98

Attraverso un’accurata selezione, le immagini esposte mostrano innanzitutto un interessante spaccato della fotografia contemporanea giapponese che, negli ultimi trent‘anni, ha visto mettere fortemente in discussione molti suoi principi fondamentali da parte di autori che, nel tentativo di reagire a un momento storico particolarmente critico, hanno voluto percorrere nuove strade espressive. Una fotografia che si è trasformata di pari passo con le grandi trasformazioni della società e del paesaggio, a cui gli artisti hanno rivolto particolare attenzione uscendo, talvolta in modo anche violento, dai canoni estetici tradizionali, abbandonando le grandi tematiche sociali e politiche che avevano caratterizzato il periodo precedente, per dedicarsi con maggiore interesse all‘ordinario. Un vero e proprio viaggio quello che si percorre visitando questa mostra, nello spazio e nel tempo, a partire dagli anni ’70 fino ad arrivare ad oggi, attraverso la complessità di un vasto territorio ricco di storia, ma anche pieno di contraddizioni restituite dalla forza espressiva che contraddistingue lo stile di ciascuno degli autori presenti.

La mostra si articola in due sezioni: la prima, Società in trasformazione, è dedicata prevalentemente agli aspetti caratterizzanti la società e ampio spazio è riservato alla figura umana e alle sue attività svolte nel quotidiano; l‘altra, Paesaggio in trasformazione, è rivolta essenzialmente al paesaggio urbano e naturale, dove la figura umana è pressoché assente o, quando presente, diventa un elemento marginale, facente parte anch‘essa del paesaggio indagato dallo sguardo degli artisti al pari di un edificio o di un qualsiasi elemento naturale.

© Ryuji Miyamoto, Sannomiya, Chuo-ku, serie KOBE 1995 After the Earthquake, 1995
© Ryuji Miyamoto, Sannomiya, Chuo-ku, serie KOBE 1995 After the Earthquake, 1995

Una suddivisione che in realtà, come evidenzia Rei Masuda, presenta confini di demarcazione molto labili, poiché in tutte le opere appare evidente l‘interazione tra ciò che è fotografato, il fotografo e l‘ambiente in cui entrambi sono inseriti, uno stretto rapporto che diventa un filo conduttore per l‘intera esposizione. In effetti, osservando le opere in mostra non si ha la sensazione di approcciarsi a due argomenti di indagine distinti e separati tra loro, ma piuttosto ciò che si percepisce è che ogni tassello contribuisca a formare, in maniera organica, un quadro d‘insieme. Attraverso la diversità di sguardo degli autori, attraverso la loro sensibilità e il loro stile spesso provocatorio nei confronti della società e della fotografia stessa, si costruisce un dialogo ininterrotto che ci presenta, di fatto, un mondo visto da dentro. Gli autori, con le loro opere, non vogliono infatti spiegare la società o il paesaggio come un qualcosa di distante da loro stessi, non ne danno giudizi in maniera distaccata, ma entrano dentro di esso, lo vivono in profondità e, attraverso la propria personale poetica, ci restituiscono la quotidianità che cattura i loro sguardi.

Dalla vastità alienante delle metropoli agli ambienti rurali o periferici che riportano a una condizione più vivibile; dalla normalità di un abbraccio durante un pic-nic in un parco alla dimensione domestica di una cucina; dalla costruzione di nuovi edifici alle macerie di quelli crollati durante il terremoto di Kobe del 1995. Tutto ci parla di un mondo in continua trasformazione. D’altra parte non potrebbe essere che così, poiché il paesaggio è costantemente in movimento, è il luogo dell’abitare e come tale è frutto della costante attività umana; l’ambiente è soggetto alle continue trasformazioni che l’uomo vi attua per renderlo vivibile e per cercare di adeguarlo alle proprie esigenze. È una necessità imprescindibile, fa parte della natura dell’uomo. È solo riprendendo la vita quotidiana, anche, e soprattutto, nei suoi aspetti meno eclatanti, che si possono registrare, quindi, le grandi trasformazioni che si attuano nel tempo.

© N. Araki, serie Subway Love, 1963-72
© N. Araki, serie Subway Love, 1963-72

Estremamente significativa in questo senso è la citazione di Nobuyoshi Araki, in apertura alla prima sezione della mostra. Offre l’occasione per una riflessione assolutamente attuale, che non riguarda, ovviamente, solo la situazione artistica giapponese, ma diventa valida ovunque, e mette in evidenza un aspetto fondamentale che larga parte del mondo della fotografia fa fatica ad accettare, ovvero l’importanza dell’ordinario come fulcro centrale dell’opera artistica:

“La cosa divertente è questa, il poliziotto che mi dice così: “Qui non sta succedendo proprio niente, cosa stai fotografando?”. Ecco, uno normalmente scatta una foto perché succede qualcosa, nessuno pensa di fotografare quando non c’è niente di speciale, di insolito. Perché fotografare la normale vita quotidiana, dove non succede niente? Questa domanda spiega il senso di quello che faccio, di quello che vorrei fare”.

© CultFrame – Punto di Svista 12/2017

INFORMAZIONI
Mostra: Fotografia Giapponese Settanta/Duemila. Lo sguardo sul mondo contemporaneo / A cura di: Rei Masuda (The National Museum of Modern Art, Tokyo)
Dal 27 ottobre 2017 al 5 gennaio 2018
Istituto giapponese di cultura / via Antonio Gramsci 74, Roma
Orario: lunedì – venerdì 9.00-12.30 e 13.30-18.30 / mercoledì fino alle 17.30 / sabato 9.30-13.00 / ingresso libero

SUL WEB
Istituto giapponese di cultura, Roma

 

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