A fàbrica de nada ⋅ Un film di Pedro Pinho ⋅ 35° Torino Film Festival

Passato per la Quinzaine di Cannes 2017 e poi vincitore del secondo premio del Concorso Lungometraggi del 35° Torino Film Festival, A fàbrica de nada si presenta fin dai titoli di testa come firmato da un ‘collettivo’ riunito sotto al nome evocativo di Terratreme. In questo caso, il gruppo appare costituito dal regista Pedro Pinho e da altri tre giovani sceneggiatori (una dei quali è anche la montatrice) a cui si aggiunge il più maturo Jorge Silva Melo, scrittore e regista teatrale e cinematografico, qui ideatore del soggetto a partire dalla pièce di un’autrice olandese omonima al film poi realizzato, ma che aveva la forma particolare di un musical per bambini.

A questi cineasti bisogna aggiungerne almeno un altro, l’italo-argentino attivo in Francia Daniele Incalcaterra già autore – tra gli altri – di un documentario a tema quale Fasinpat (Fábrica sin patrón) che nel 2004 raccontava la creazione di una cooperativa autogestita da parte degli operai della ceramica Zanon. Anche agli spettatori europei che non si siano mai occupati del fenomeno delle “imprese recuperate” dai lavoratori abbandonati dai rispettivi ‘padroni’, l’Argentina post-crisi del 2001 risulta essere la terra più fertile per questo genere di esperienze di autogestione: l’hanno raccontato alcuni film di Fernando ‘Pino’ Solanas, documentari come Grissinopoli (2004) di Dario Doria e The take (2004), scritto da Naomi Klein e diretto del marito Avi Lewis, che seguiva il Movimento Nazionale Imprese Recuperate post-Menem. Sempre dal Sud America, è arrivato lo scorso anno in Europa un’opera di fiction dai toni grotteschi dedicata (a suo modo) al medesimo soggetto quale Maquinaria Panamericana (2016), diretto dal messicano Joaquín del Paso, presentato alla Berlinale e proprio al TFF 2016.

Pedro Pinho
A
fàbrica de nada, comprendendo in sé sia alcuni modi del documentario sia talune forme della fiction, si radica invece profondamente nel Portogallo contemporaneo, nel contesto reale di una ‘crisi’ economica che a cavallo del passaggio di millennio ha provocato un subisso di dismissioni e delocalizzazioni industriali, e affida al personaggio di Incalcaterra un ruolo duplice tutto giocato sulle porosità tra realtà e cinema: un ruolo di collegamento tra gli operai portoghesi protagonisti del film e le esperienze di autogestione argentine; ma anche di personificazione della tensione politica di un artista (regista) militante, dello spaesamento con cui chi vuole sostenere la causa dei lavoratori si trova a dover fare i conti oggi riconsiderando certe categorie ideologiche e certa tradizione operaista novecentesca.

Quest’anima dialettica e a tratti meta-cinematografica si esprime in diversi registri, dalla commedia sociale al musical. Ciò non deve sorprendere, è difatti frequente il caso di operai che mettono in musica la propria protesta, realizzando anche canzoni e videoclip per diffonderla, come è stato ad esempio per i lavoratori della Fralib di Marsiglia, vittime della delocalizzazione in Polonia del loro stabilimento, che hanno creato la Scop-Ti (Société Coopérative ouvriére provenzale de thés et infusions) dopo 1336 giorni di lotta, musica e video, il tutto raccontato dal film autoprodotto Des belles rencontres (2015) di Linda Brahim, Sabine Charvin, Patricia Plutino, Enrico Riboni e Claude Trouillier.

Il film di Pinho ha quindi un andamento fluviale (e una durata di quasi tre ore), che nelle sue derive fuori della fabbrica privilegia la vita dell’operaio Zé Pedro, giovane e cantante punk, quasi a smontare lo stereotipo dell’operaio retaggio di un passato avvizzito, che consente al film di entrare in contatto con gli spettatori in modi più consueti al grande pubblico. E di marcare una distanza tra il tavolo dei ‘teorici’ (Incalcaterra, il filosofo Anselm Jappe, il compagno Toni nella parte di se stessi), che fa da contrappunto ai protagonisti operai, e le difficoltà pratiche di questi ultimi che devono concretamente sopravvivere, forza lavoro non più utile, e restare vivi, disallineandosi dal loro stesso destino di forza lavoro.

“L’astrazione mi dà le vertigini”, affermava Miguel Gomes in apertura del primo capitolo del suo Le mille e una notte (2015), una trilogia che ha senz’altro influenzato le azioni creative e produttive del collettivo Terratreme. A fàbrica de nada è dunque un film stratificato, che si confronta con temi nodali del nostro tempo presente e con le possibilità che il cinema ha di raccontarli, anche senza fornire facili ricette o narrazioni preconfezionate, in quanto arte collettiva.

© CultFrame 12/2017

TRAMA
Gli operai di una fabbrica portoghese di ascensori scoprono dei camion che portano via nottetempo i macchinari del loro stabilimento. Nel giro di pochi giorni, si trovano abbandonati a se stessi da una proprietà in fuga verso paesi dove il costo del lavoro è inferiore: come reagire?

CREDITI
Titolo originale: A fàbrica de nada / Regia: Pedro Pinho / Sceneggiatura: Pedro Pinho, Luisa Homem, Leonor Noivo, Tiago Hespanha da un soggetto di Jorge Silva Melo / Interpreti: José Smith Vargas, Carla Galvão, Njamy Sebastião, Joaquim Bichana Martins, Daniele Incalcaterra, Rui Ruivo, Hermínio Amaro, António Santos / Fotografia: Vasco Viana/ Montaggio: Cláudia Oliveira, Edgar Feldman, Luísa Homem / Musica: José Smith Vargas, Pedro Rodrigues / Produzione: Terratreme Filmes / Portogallo, 2017 / Distribuzione internazionale: Memento Films / Durata: 176 minuti

SUL WEB
Filmografia di Pedro Pinho
CULTFRAME. 35° Torino Film Festival. Programma. di Claudio Panella e Silvia Nugara
Torino Film Festival – Il sito

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