L’inferno di porpora di The Handmaid’s Tale (prima stagione)

Secondo un principio biblico (Genesi 30; 1-3) se a un uomo fosse toccata in sorte una moglie sterile poteva giacere con le proprie serve al fine di procreare.

Ora Rachele vide che non poteva partorire figli a Giacobbe, perciò Rachele divenne gelosa di sua sorella e disse a Giacobbe: «Dammi dei figli, altrimenti muoio».
Giacobbe si adirò contro Rachele e rispose: «Tengo io forse il posto di Dio che ti ha negato il frutto del grembo?».
Allora ella disse: «Ecco la mia serva Bilha. Entra da lei e lei partorirà sulle mie ginocchia; così anch’io potrò avere figli per suo mezzo».

Tale precetto, nella Repubblica di Galaad, si segue alla lettera. Qui – ovvero in ciò che prima erano gli Stati Uniti d’America – vige ormai un regime totalitario e teocratico in cui le donne, sane e in età fertile, vengono ridotte in schiavitù e “utilizzate” per scopi riproduttivi.

Handmaid Tale

Siamo in un futuro prossimo venturo e degli Usa, come noi li conosciamo, non è rimasto praticamente nulla. Una guerra globale sta decimando l’umanità e il pianeta è avvelenato dall’inquinamento chimico e radioattivo. La popolazione registra “crescita zero” e, per questo, nella morigeratissima Galaad, si corre ai ripari sottomettendo le donne al potere dell’uomo che se ne serve per ripopolare il pianeta. Sotto questa dittatura, permeata di fanatismo religioso, non soltanto gran parte del genere femminile è schiavizzato, ma sono dichiarate illegali tutte le altre confessioni diverse da quella di Stato; così come l’omosessualità, l’aborto, le relazioni clandestine e la lettura diventano “crimini” punibili con la morte. Un regime coercitivo che non soltanto viòla ogni diritto umano ma priva le donne di qualsiasi forma di libertà, anche la più elementare come camminare per strada da sola o sfogliare una rivista.

L’universo distopico di The Handmaid’s Tale (Il racconto dell’ancella) nasce, nel 1985, dalla penna di Margaret Atwood, scrittrice, poetessa e fervente ambientalista di Ottawa la cui prolifica opera è stata definita da Alice Munro “un magnifico arsenale”. Nel 1990, il romanzo ispirò il film omonimo diretto da Volker Schlondorff con Miranda Richardson nel ruolo di protagonista e ora Bruce Miller lo ha adattato per la televisione raggiungendo un immediato successo, aggiudicandosi due riconoscimenti il 5 agosto scorso, agli TCA (Television Critics Association) come Miglior programma dell’anno e Migliore serie drammatica e trionfando agli Emmy Awards 2017 con ben otto premi tra i quali migliore serie drammatica, migliore attrice e miglior regista (Reed Morano).

Handmaid TaleIn onda negli Usa sulla piattaforma Hulu arriva il 26 settembre 2017 in Italia in esclusiva su Tim Vision, sulla scorta di un entusiasmo, di pubblico e di critica, pressoché unanime. Dieci episodi, di 53 minuti, diretti da cinque registi diversi (Reed Morano, Mike Barker, Floria Sigismondi, Kate Dennis e Kari Skogland), che raccontano, con uno straordinario crescendo di tensione, lo spaventoso regime instaurato dai Comandanti, spietati gerarchi della Repubblica di Galaad, che si sono autoproclamati detentori di una verità superiore e nelle cui mani è concentrato un potere assoluto.

La società a cui fanno capo è rigidamente suddivisa secondo una scala gerarchica nella quale si trovano, oltre alle Ancelle, gli Occhi (facenti parte dei servizi segreti), le Marte (che svolgono mansioni di serve), i Custodi (omologhi maschili di queste ultime), gli Angeli (i soldati), le Mogli dei Comandanti e degli Angeli, le Zie (che vigilano sulla moralità delle donne), le Nondonne, le Ecomogli (i cui mariti fanno parte del ceto sociale più basso) e le prostitute (che intrattengono i potenti ma delle quali non è ufficialmente riconosciuta l’esistenza).

Della vita prima dell’avvento di questa dittatura e come essa si sia instaurata ne scopriamo i dettagli solo nei flashback dei ricordi della protagonista, June (una Elisabeth Moss in stato di grazia che abbiamo già visto in Mad Men) ed è attraverso i suoi pensieri che veniamo a conoscenza della sua esistenza di “prima”, del suo lavoro e dei suoi affetti. Ripensare a tutto quello che aveva è l’unico modo in cui la donna riesce a sopravvivere alla condizione di Ancella/schiava, così come la speranza di ritrovare la propria figlia le permette di riappropriarsi, giorno dopo giorno, di quella forma di coraggio che l’aiuterà a non soccombere.

Nel terribile universo immaginato dalla Atwood sono soprattutto le donne a subire il destino più infame e, per questo, in molti hanno ravvisato nel racconto una matrice fortemente femminista; tuttavia è stata l’autrice stessa a spiegare che “se con questo intendete una narrazione in cui le donne sono sempre angeli e/o vittimizzate al punto da renderle incapaci di scelte morali, direi di no. Se intendete un romanzo in cui le donne sono esseri umani – con tutta la varietà di caratteristiche che questo implica – e sono anche interessanti ed importanti, in cui ciò che accade loro è cruciale ai fini del tema di fondo, della struttura e del plot del libro, allora sì”.

L’esistenza di June, a Galaad, si incrocia con quella di molte altre come lei, ridotte non solo a “servire” gli oligarchi ma ad essere utilizzate come mero involucro di gestazione e degne di essere trattate da esseri umani solo se gravide. Ogni Ancella, infatti, nel momento in cui entra nella casa di un Comandante, dovrà assolvere il suo compito riproduttivo, pertanto sarà monitorato costantemente il suo ciclo mestruale e sarà sottoposta ad accurati controlli medici per mantenerla in un ottimale stato di salute.

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L’identità femminile viene pertanto circoscritta alla sola funzione procreativa, annientando tutto il resto, ad iniziare dal nome. A nessuna Ancella, infatti, è più permesso di usare il proprio ma adotterà quello del potente a cui appartiene, preceduto dalla particella “di”, che sta ad intendere la “proprietà”. La protagonista diventa, allora, Difred (Fred Waterford, interpretato da Joseph Fiennes) parola che, nella versione originale, assume una valenza altamente simbolica, ovvero Offred che, in inglese, possiede lo stesso suono di “offered”, cioè “offerta”. Il concetto di “dono”, appunto, nell’intera serie viene declinato in un’accezione distorta dal fanatismo religioso dove l’impegno fisico riferito al concepimento di una vita, si svolge nell’ambito di un rituale che nulla ha a che fare né con il semplice “accoppiamento”, tantomeno con il sentimento.

L’atto penetrativo/generativo dell’uomo, infatti, ha luogo nell’asettica quanto plumbea atmosfera di quella che viene chiamata “La Cerimonia”, alla quale sono presenti non soltanto i due elementi necessari a tale fine – l’Ancella e il Comandante – ma anche la moglie di quest’ultimo che “partecipa” al rito di cui, per paradossale proprietà transitiva, finirà per beneficiare. In questa sorta di liturgia, che la regia inquadra spesso in una rigidità quasi geometrica, si annulla totalmente la connotazione sessuale per attribuire a questa azione un valore procreativo, primigenio e sacrificale, scevro da ogni forma di passione o di amore. La forza di questa serie risiede proprio nella potenza archetipica delle sue fondamenta: dal potere (ri)generativo del femminile fino al rapporto dell’umanità con la Terra della quale ha avvelenato le radici.

Lo scenario apocalittico che qui si prospetta possiede ad oggi, pur essendo ispirato ad un testo di più di trent’anni fa, un sorprendente significato profetico che non attinge da un’ipotesi meramente fantascientifica ma, al contrario, da ciò che James Joyce definiva “l’incubo della Storia”. Tutto ciò che viene mostrato negli episodi è prossimo a noi, familiare per morfologia e per tecnologia, così come la dittatura di Galaad (con le esecuzioni, le “purghe”, le punizioni esemplari..) somiglia a tante altre che hanno afflitto, e affliggono, il mondo.

“Nessun orpello immaginario, nessuna legge immaginaria, nessuna atrocità immaginaria. Dio è nei dettagli, si dice. E così pure il diavolo” ha dichiarato la Atwood del cui romanzo gli sceneggiatori, pur riadattandolo per la fiction, hanno lasciato intatto il carico di angoscia e di tensione, in una narrazione scandita da un ritmo serrato in cui il dialogo e il silenzio hanno un peso specifico di orrore, calcolato secondo l’agghiacciante unità di misura di quella realtà, permeata di sopraffazione, che ben conosciamo.

Handmaid TaleProprio per questo da The Handmaid’s Tale diventa difficile staccarsi anche se ogni parola penetra come un morso e ogni inquadratura genera quello stordimento da “sindrome di Stendhal” che qui non citiamo a caso. La peculiare composizione dell’immagine e l’uso della fotografia, alla quale restano fedeli tutti e cinque i registi della prima stagione, rimandano ai cromatismi della pittura fiamminga del Seicento ed è impossibile non pensare a Jan Vermeer guardando le sagome purpuree delle ancelle, avvolte dalle lunghe vesti rosse e il cui sguardo è riparato (e nel contempo è al riparo) dalle “alette” candide di quei copricapi che ricordano le giovani donne intente nei lavori domestici raffigurate dall’artista olandese.

Quelle che la voce narrante del romanzo definisce “suore inzuppate nel sangue” si stagliano sullo sfondo fosco di un paese – e, in senso più ampio – di un intero mondo che sta implodendo, eroso dalla cancrena che l’umanità stessa ha provocato e che ora tenta di curare amputando ogni forma di libertà.

Queste Ancelle sono vittime o eroine? Sotto i panni vermigli di questi personaggi non si cela solo l’inquietudine e il dolore di una femminilità umiliata ma anche una formidabile forza eversiva che lotta per non arrendersi al dominio e che si dispiega, con vigore, fino all’ultimo episodio che sarà solo la fine di un nuovo inizio: quello della seconda stagione, prevista per il 2018.

© CultFrame 09/2017

CREDITI
Titolo: The Handmaid’s Tale / Ideatore: Bruce Miller dall’omonimo romanzo di Margaret Atwood / Produttori esecutivi: Bruce Miller, Daniel Wilson, Fran Sears, Warren Littlefield / Registi: Reed Morano, Mike Barker, Floria Sigismondi, Kate Dennis, Kari Skogland / Fotografia: Colin Watkinson / Montaggio: Wendy Hallam Martin, Christopher Donaldson, Julian Clarke, Aaron Marshall / Musica: Adam Taylor / Casa di produzione: MGM Television, Gilead Productions / Interpreti: Elisabeth Moss, Joseph Fiennes, Ivonne Strahovski, Max Minghella, Alexis Biedel, Madeline Brewer, Ann Dowd, O.T. Fagbenle, Samira Wiley/ Origine: USA / Piattaforma USA: Hulu / Piattaforma Italia: Tim Vision / Episodi: 10 / anno: 2017

 

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