Mal di pietre ⋅ Un film di Nicole Garcia

Definire la libertà è difficile. Ma, a volte, è altrettanto difficile definire il senso di costrizione al quale ci condanniamo quando le frustrazioni sono tali da creare una gabbia invisibile nella quale finiamo per rinchiuderci. È questo il destino al quale sembra essere obbligata Gabrielle, una giovane donna dai desideri troppo grandi.

Gabrielle vive in un paesino della Provenza, nel sud della Francia, dove all’aridità della campagna si contrappone solo l’intenso colore della lavanda. Sono gli anni del dopoguerra, non c’è spazio per i grandi sogni, ma solo per la praticità e la concretezza. Gabrielle, però, non riesce a piegarsi a una condizione esistenziale che la vorrebbe moglie e madre, senza aspettative di vera felicità. È vittima dei suoi stessi desideri frustrati, che la fanno apparire come “diversa”, quasi animalesca.

Nicole Garcia, regista del film, insiste molto su questo tema allontanandosi dal romanzo di Milena Agus dal quale ha tratto la storia. La sua protagonista, infatti, sembra ossessionata dalla ricerca della “cosa principale”. Ma mentre nel romanzo il desiderio sottintende al sentimento dell’amore vero, scelto e consapevole, nel film diventa frustrazione sessuale, declinata nella ricerca di un orgasmo come panacea di una sofferenza altrimenti incurabile. Questo particolare, di non poca rilevanza, modifica tutto l’impianto narrativo e rende la protagonista poco incline a creare empatia.

Secondo la lettura di Garcia, l’esperienza sessuale diventa la chiave di un’emancipazione altrimenti irrealizzabile, ma viene mostrata con caratteristiche del tutto negative: dapprima come conferma di un rapporto immaginario con un insegnante sposato e in attesa di un figlio, poi come mercificazione del corpo, nel momento in cui Gabrielle, ormai forzatamente sposata con un umile contadino di origini spagnole, si concede solo in cambio di denaro, lo stesso denaro che José avrebbe speso in città con le prostitute. Questa declinazione in negativo, associata all’idea della malattia psicologica e fisica, prosegue anche nel cuore della storia, ovvero nell’incontro tra Gabrielle e André Sauvage (cognome che a questo punto assume involontari toni ironici), entrambi ricoverati in una clinica sulle Alpi Svizzere. Mentre la protagonista cerca di liberarsi dal suo mal di pietre, affrontando le costose cure per eliminare i calcoli renali, rimane affascinata dal tenente Sauvage, reduce dalla guerra di Indocina e gravemente malato, al punto da non potersi quasi alzare dal letto. Gabrielle invade, letteralmente, l’intimità di André, recandosi nella sua stanza e spiando un corpo martoriato e seminudo. La sua immaginazione disegna i contorni di una relazione finalmente appagante, anche sotto il profilo sessuale, e allontana da sé le attenzioni di José, silenziosamente presente e vero portatore di libertà, se solo Gabrielle fosse in grado di capirlo.

Nicole Garcia

Con un twist nel finale, che riporta circolarmente all’inizio della storia ambientata negli anni Sessanta, Gabrielle rilegge il racconto della sua vita e capisce finalmente l’importanza di José, relegato ai margini (anche da Garcia) eppure unica e delicata manifestazione di amore e rispetto profondi.

Sebbene sotto il profilo registico le scelte di Garcia mostrino una certa coerenza, con ambientazioni che traducono in immagini i sentimenti dei protagonisti e con una fotografia quasi opaca a manifestare il buio interiore di Gabrielle, non è condivisibile la netta deviazione dalla storia originale in direzione di una semplificazione a tratti denigratoria. In un film con protagonista una donna, girato da una donna e tratto da un romanzo scritto da una donna, la figura femminile ne esce fortemente degradata, con contorni anacronistici e, francamente, già ampiamente trattati in passato. Risulta difficile, se non impossibile, quindi, ragionare sul concetto di libertà, soprattutto quando le maglie della gabbia che lo imprigionano sono così strette e rinchiudono, in primis, chi lo vuole raccontare.

© CultFrame 04/2017

TRAMA
Gabrielle vive in un paesino nel sud della Francia, in un’epoca in cui i suoi desideri vengono considerati scandalosi, se non addirittura vera e propria malattia. I genitori la obbligano a sposare José, un umile contadino che secondo loro potrà renderla una donna rispettabile. Ma quando Gabrielle si reca in una clinica per curare il suo mal di pietre incontra André, reduce di guerra del quale si innamora e con cui vorrebbe fuggire per liberarsi dalla prigione del suo matrimonio.


CREDITI

Titolo: Mal di pietre / Titolo originale: Mal de pierres / Regia: Nicole Garcia / Sceneggiatura: Nicole Garcia, Jacques Fieschi / Fotografia: Christophe Beaucarne / Montaggio: Simon Jacquet / Musica: Daniel Pemberton / Scenografia: Arnaud de Moleron / Interpreti: Marion Cotillard, Louis Garrel, Alex Brendemühl, Brigitte Rouan, Victoire Du Bois, Aloïse Sauvage, Daniel Para, Jihwan Kim, Victor Quiluìichini / Produzione: Les Productions du Trésor / Paese: Francia, Belgio 2016 / Distribuzione: Good Films / Durata: 120 minuti

SUL WEB
Filmografia di Nicole Garcia
Good Films

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