39° Cinéma du Réel ⋅ Un bilancio

Frame tratto dal film Maman Colonelle del regista congolese Dieudo Hamadi, vincitore del Grand Prix al 39. Cinéma du Réel di Parigi

Ospitata in buona parte, da programma, nelle sale del Centre Georges Pompidou che quest’anno festeggia il suo 40° anniversario, la 39a edizione del Cinéma du réel ha invece dovuto fare i conti dopo due soli giorni di proiezioni con lo sciopero a oltranza dei dipendenti del Centro. La protesta è nata dalla vertenza delle guardie di sicurezza, obbligate da una nuova legge a diventare dipendenti pubblici, il cui sindacato ha avviato una lunga trattativa con il Ministero della Cultura francese ancora non risolta dopo più di una settimana.

Il festival parigino diretto da Maria Bonsanti ha dovuto quindi purtroppo annullare molte proiezioni, decurtando in particolare la sezione Dé/montage(s) curata da Federico Rossin, e spostare dal Beaubourg a Les Halles tutte le sezioni competitive e le proiezioni con autori da tempo invitati, trovando ospitalità nelle sale del Forum des Images, già parzialmente prenotate per alcuni spettacoli.

Nonostante tali difficoltà, la manifestazione si è conclusa come di consueto con la consegna dei premi dei vari concorsi. La Giuria del Concorso internazionale lungometraggi composta dalla regista francese Anne Georget, autrice di documentari quali Festins imaginaires (2014), la montatrice franco-libanese Tina Baz Legal e il critico e programmatore argentino Luciano Monteagudo ha assegnato il Grand Prix Cinéma du Réel al film Maman Colonelle di Dieudo Hamadi: il regista congolese, che nel 2014 ricevette il Premio Potemkine con Examen d’État, ha per protagonista Honorine, a capo della brigata contro le violenze sessuali e per la protezione dell’infanzia di Bukavu. È la prima volta che un film africano si aggiudica il concorso al Cinéma du Réel. Anche in questo caso, come nell’intenso film di finzione Félicité di Alain Gomis , vincitore al Festival di Ouagadougou e Gran Premio della Giuria a Berlino, siamo di fronte al ritratto di una donna di straordinario coraggio. Il film di Hamadi però non si limita a ritrarre Honorine come protettrice degli ultimi e corpo intermedio tra la popolazione e le autorità, ma segue la sua progressiva presa di coscienza di una situazione storica e sociale che ignorava e che affonda le radici nella guerra “dei sei giorni” che nel 2000 oppose esercito ugandese e rwandese facendo strage di migliaia di civili senza aver mai dato luogo a un processo. Il film diventa in tal mondo il ritratto di una riflessione collettiva sui rapporti tra passato e presente.

Il Prix International de la SCAM (Société civile des auteurs multimedia) è andato a No intenso agora del brasiliano João Moreira Salles, film di repertorio sul 1968 già presentato all’ultima Berlinale e vincitore anche del Prix des Bibliothèques e del Prix de la Musique Originale (al compositore Rodrigo Leão), mentre la competizione riservata ai francesi ha visto premiare Derniers jours a Shibati di Hendrick Dusollier, regista che ha già dedicato più di un film alla Cina contemporanea, e conferire una menzione speciale a Chaque mur est une porte della regista bulgara Elitza Gueorguieva, due film diversi eppure entrambi interessanti: nel primo, Dusollier filma, in tre diversi momenti ciascuno distante sei mesi dal precedente, la rapida sparizione di uno slum di Chongqing e i traslochi forzati dei suoi abitanti; nel secondo, la giovane regista si serve del proprio archivio famigliare di registrazioni in VHS datate 1989-1992 per raccontare il lavoro della madre, giornalista della tv di stato bulgara, e attraverso di lei la cosiddetta “transizione democratica” del suo paese. In entrambi in casi si tratta dunque di documentare una mutazione “in diretta” ma Dusollier coglie, in forma poetica e spaesata, un processo ancora in atto nel presente mentre Gueorguieva adotta un registro pop, e uno sguardo che gioca con il proprio doppio statuto di regista adulta e di figlia-bambina degli anni Ottanta, per ricostruire, attraverso materiali televisivi, un fenomeno del passato con ripercussioni epocali.

Anche il Prix des Jeunes è andato a Derniers jours a Shibati di Dusollier, con una menzione speciale per un’altra opera francese che esalta l’implicazione soggettiva di chi filma, Je ne me souviens de rien di Diane Sara Bouzgarrou, la quale ha ricostruito quanto accadutole durante una lunga crisi maniacale di cui ha perso ogni memoria, attraverso gli stessi filmati da lei realizzati compulsivamente in quel periodo. Nella prima parte del film, l’entusiasmo della protagonista di origini tunisine per la rivoluzione che alla fine del 2010 depose Ben Ali si smorza di video in video per l’insorgere della sua malattia, causata da una sindrome bipolare. Diane Sara Bouzgarrou disegna, scrive, registra la sua vita con lo smartphone, si mette in scena in performance con l’aiuto del compagno e, superata la crisi, monta questi materiali costruendo un autoritratto intenso e autentico.

Tra gli altri film premiati, si segnalano Ala Hafet Alhayat del siriano emigrato in Turchia Yaser Kassab (Prix Joris Ivens), che racconta la sua condizione di esule e le difficoltà di comunicazione con i familiari rimasti in patria, e Boli bana girato in Burkina Faso da Simon Coulibaly Gillard (Prix du Patrimoine de l’Immatériel) per raccontare la vita e il passaggio dall’infanzia all’adolescenza. Tra i cortometraggi, primo premio a Nyo vweta nafta realizzato in Mozambico dal portoghese Ico Costa, menzione speciale ad Alazeef di Saif Alsaegh.

Nessun premio ma molto interesse per l’italiano Pagani, esordio di Elisa Flaminia Inno, che con uno sguardo antropologico e non privo di umorismo documenta il riproporsi dell’antica celebrazione di Nostra Signora delle Galline nel comune campano di Pagani, una tradizione portata avanti dal personaggio di Fonzino aiutato da femminielli che nel rito assumono un ruolo di primo piano, proprio come accade nella “Tamurriata dei femminielli” che si svolge nell’avellinese e a cui qualche anno fa era stato dedicato il film La candelora a Montevergine (2007) di Paolo Valerio e Nicola Sisci.

Tutte le anime del cinema ‘documentario’, dunque, sono passate anche quest’anno da Parigi, una vetrina attenta soprattutto alla produzione francese che apre la stagione primaverile dei festival dedicati al cinema ‘documentario’ cercando di tenere testa al sempre più importante Visions du Réel di Nyon.

© CultFrame 04/2017

CULTFRAME. La presentazione del festival

0 Shares: