È solo la fine del mondo. Un film di Xavier Dolan

Xavier Dolan“Nelle parole c’è qualcosa di impudico” scriveva Cesare Pavese e forse è proprio il desiderio di sottrarsi all’esprimersi, a celare
“l’indecenza” del dolore, che impedisce a Louis di riuscire a comunicare alla propria famiglia una ferale notizia.

Lontano da casa da più di 12 anni, il protagonista, scrittore di successo, ritorna nel luogo della sua infanzia e dai suoi congiunti, per cercare di pareggiare i conti, nel tentativo di riallineare quell’asse emotivo che lo lega a loro e che da (troppo) tempo ha sbilanciato con la sua assenza. Partito dalla città, Louis arriva nella sua casa d’origine isolata in un borgo di campagna senza nome: lì ritrova sua madre, sovraeccitata al limite dell’isteria, sua sorella Suzanne che ha lasciato bambina e rivede donna, suo fratello Antoine, che cova rabbiosi rancori e la timida e impacciata Catherine, la cognata che non ha mai conosciuto. In quel microcosmo familiare egli riscopre, praticamente intatte, le crepe di una struttura emozionale dalla quale fuoriescono risentimenti e rimpianti, pene e amarezze, ovvero tutto ciò che anni prima lo ha spinto ad allontanarsi.

Xavier Dolan

Gran Premio della Giuria allo scorso Festival di Cannes, con questo film, tratto dall’omonima pièce di Jean-Luc Lagarce (tra gli autori più rappresentati in Francia, morto di Aids nel ’95 a soli 38 anni), Dolan – 27 anni e 6 film – ancora una volta si cimenta con le lacerazioni del tessuto familiare anche se qui, nell’affrontare il dramma, inserisce due novità sostanziali rispetto alla sua produzione precedente: la lingua e il linguaggio. Lascia infatti gli accenti del Quèbec scegliendo un cast interamente francese e, nel riadattare il testo originale, ne mantiene inalterata non soltanto la verbosità ma la costruzione linguistica fatta di pause, di sbavature grammaticali, di sospensioni… Impresa non facile che Dolan porta a termine con una limpidezza visiva che sa divenire, grazie alla straordinaria fotografia di André Turpin, addirittura accecante.

Xavier DolanIl regista canadese, infatti, incastona i suoi protagonisti nello spazio di una casa, ed è in grado, mettendo in campo quattro attori di calibro come Nathalie Baye, Vincent Cassel, Marion Cotillard, Léa Seydoux e il giovane Gaspard Ulliel, di spogliarli della loro allure iconica, stargli addosso in maniera implacabile e spingerli ad una gara, pressoché feroce, di bravura. Tra le mura delle stanze ma anche quando li porta fuori – in macchina o in uno spicchio di giardino – non permette loro quasi mai di respirare, facendoli annaspare tra i flutti/flussi delle parole, tanto più gridate quanto più inudibili. Dal testo di Lagarce, Dolan distilla tutto il patimento di chi non riesce ad esprimere sentimento alcuno e nel farlo, o meglio, nel tentativo di farlo, fallisce nella comunicazione, infrangendo ogni frase su un muro di incomprensione che, il più delle volte, non è silenzio ma urlo, seppur tragicamente vano.

Xavier DolanLouis si illude di riuscire finalmente ad alleggerire la propria famiglia dal peso di un’assenza – la sua e quella del padre – accorgendosi, invece, che i livori di un tempo non sono mai sopiti e che quel passato di felicità – l’infanzia felice, la complicità infantile tra fratelli – ritorna come una lama ad infilzarsi nella memoria di tutti, anche in quella di Suzanne che paga lo scotto di ricordi che lei non ha vissuto.
Il linguaggio, allora, diventa il fondamento di questo dramma dell’inesprimibile. Quando Louis è sul punto di “dire”, viene interrotto dalla voce di qualcun altro, bloccato da uno scoppio d’ira o da un pianto e mentre la madre, Antoine e Suzanne lo travolgono di parole, la trepidante Catherine lo guarda spesso in silenzio, incespica nelle frasi, trattenendo il fiato nei frammenti di un discorso e, nel suo masticato silenzio, è l’unica in grado di ascoltare davvero.

In questo gioco al massacro non c’è tempo, né modo di formulare un crudele addio e ogni sequenza, montata ad arte e infarcita di parole (o di musica), non è altro che un “atto linguistico” che, come tale, travalica l’enunciato stesso, si scompone in frasi monche o in lunghi monologhi, il cui significato sembra annullare il significante.

Xavier DolanDolan riannoda i fili da J’ai tué ma mère (2009) a Mommy (2014) perdonando, in parte, quella “madre-matrigna” che sembra ossessionarlo e alla quale qui sembra guardare con più matura indulgenza. Del resto non è che “la fine del mondo”, anzi è “solo la fine del mondo” poiché nel valore limitativo di questo avverbio si racchiude tutto il tormento e lo spasimo espressivo del protagonista, voce isolata in un coro urlante di solitudini.

A parte l’uso insistito – anche nel finale – di un fin troppo facile simbolismo, il film del regista canadese si rivela un’opera straziante, che scarnifica il corpus familiare, eroso dal pernicioso morbo non detto.

© CultFrame 12/2016

TRAMA
Louis è un giovane scrittore di successo che si è allontanato da tempo dalla famiglia di origine per vivere liberamente la propria vita. In procinto di comunicare una notizia importante, decide di fare ritorno a casa. Ad aspettarlo la madre e i suoi fratelli con i quali, da subito, innescherà quel terribile meccanismo di “gioco al massacro” che dodici anni prima lo aveva fatto fuggire da loro.


CREDITI
Titolo: È solo la fine del mondo / Titolo originale: Juste la fin du monde / Regia: Xavier Dolan / Sceneggiatura: Xavier Dolan dall’omonimo testo teatrale di Jean Luc Lagarce / Interpreti:Gaspar Ulliel, Nathalie Baye, Léa Seydoux, Vincent Cassel, Marion Cotillard / Montaggio: Xavier Dolan / Fotografia: André Turpin / Scenografia: Colombe Raby / Musica: Gabriel Yared / Produzione: Bibi Film, Barbary Film / Distribuzione: Lucky Red / Canada, Francia 2016 / Durata: 95 minuti

SUL WEB
Filmografia di Xavier Dolan
Lucky Red

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