Knight of Cups ⋅ Un film di Terrence Malick

Dove va questo cavaliere errante? Qual è la meta del suo vagare? Rick, il Fante di Coppe del titolo, è un uomo che si è perso o (forse) è un uomo che non ha mai smesso di cercare. Come il personaggio delle carte al quale si riferisce il nome, egli viaggia per trovare un senso compiuto alla sua esistenza, per riconciliarsi con il proprio passato e riuscire, finalmente, a vivere il presente.

Malick prosegue sul sentiero della rarefazione raccontando ancora una volta, e con lo stile che gli è peculiare, il cammino tortuoso dell’animo umano, dopo The Tree of Life (2011) e To the Wonder (2012); impossibile, infatti, non vedere quest’ultimo e Knight of Cups come due frutti di quell’albero che affondava le sue radici in una cosmogonia universale e, nel suo dispiegarsi, attingeva alle immagini e alla filosofia, all’arte e alla musica.

Nel quadro complesso del racconto malickiano a farci da “guida”, questa volta, sono le carte dei Tarocchi, simboli arcani che racchiudono in ogni figura l’eterno dualismo del positivo e del negativo. Rick, il protagonista, è uno sceneggiatore di successo, vive nello smaltato universo di Hollywood ma il desiderio bruciante di un completo appagamento – esistenziale e sentimentale – rende la sua vita un inquieto vagabondare tra i ricordi di un’infanzia dolorosa e l’incapacità di trattenere un amore in cui trovare l’agognato approdo.

È lui il cavaliere in viaggio e il suo sembiante – che nelle carte si genera dall’incontro di un seme e di un personaggio – rappresenta una positiva immaturità, ovvero la fase evolutiva che simboleggia sempre ogni inizio. Un arcano, quello del Fante di Coppe, marcatamente affettivo il cui carattere, romantico ma tendente all’eccesso, spesso si smarrisce nell’illusione e sovente da essa si lascia sospingere; proprio come Rick che nella dorata atmosfera hollywoodiana si circonda di bellezza e di ricchezza, ebbro di costosi nettari e avvinghiato a corpi perfetti.

Terrence Malick

Nel ricordo della favola che gli raccontava suo padre da bambino, anche lui, alla stregua del giovane principe della fiaba mandato dal re fino in Egitto per trovare una perla, dimentica il suo scopo bevendo, fino quasi a perdere di vista il motivo del suo viaggio, narcotizzato dallo scintillio di un universo di finzione. Rick è tormentato dalle reminiscenze familiari, da un dolore mai superato e da un fratello che, con il suo ritorno, sembra riportalo a quel passato da cui vuole liberarsi. E se l’antidoto a tanta sofferenza non può essere che l’amore, egli ad esso sembra ri/vo(l)tarsi, afferrandolo per poi respingerlo, inseguendolo e lasciandolo andare tra le braccia delle sue donne: Della, Nancy, Helen, Karen ed Isabel.

Nel disegnare il mesmerico itinerario del protagonista, Malick, via via, ne scopre le carte iniziando – e non a caso – con quella de La Luna che non solo indica un sentiero accidentato ma rappresenta il mondo del femminile con il quale Rick entrerà sempre più profondamente in contatto. Che sia passione fisica o palpito amoroso, l’uomo attraverserà questo sentimento/mutamento, addentrandosi sempre di più in se stesso. Affronterà il sacrifico e l’abbandono ne L’appeso, bramerà la verità ne L’Eremita, incontrerà ancora una volta il suo passato per rimetterlo in discussione ne Il Giudizio, vedrà sgretolarsi le certezze su La Torre, stenterà a vivere appieno la sua gioia con Il Sole, troverà rifugio sotto il manto di Conoscenza de La Papessa e solo nella disperazione de La Morte si sentirà pronto a rinascere.

Terrence Malick

Le immagini, di folgorante bellezza, si susseguono in un racconto “impossibile” che destruttura la cronologia e la narrazione (tradizionalmente intese) per farsi, nel passo cadenzato della voce off, una sorta di ipnosi danzante, un’indagine visiva, e financo filosofica, della ricerca del senso.

Il cinema del regista di Ottawa diviene, sempre più, un’azione esperenziale che non può limitarsi al “semplice” atto del vedere ma si spinge ben oltre i confini dello sguardo. La fotografia di Emmanuel Lubezki illumina ogni inquadratura di una luce struggente che sembra trafiggere l’aria, fino a sentire i personaggi respirarvi dentro e la regia di Malick si libra, film dopo film, verso altezze vertiginose in cui l’ampiezza della visione si fa di una limpidezza stordente, di fronte alla quale lo spettatore può addirittura soccombere.

Ciononostante, pellicola dopo pellicola, il geniale afflato malickiano continua a sorreggere le fondamenta di opere visuali di tale, inesprimibile, completezza alle quali il solo fatto di esistere ne costituisce il valore assoluto.

© CultFrame 11/2016

Il film Knight of Cups di Terrence Malick è stato recensito da Claudio Panella nel febbraio 2015, in occasione della proiezione del film in concorso alla 65a Berlinale.

TRAMA
Rick scrive per il cinema e vive una vita di agi e di lusso tra le star di Hollywood. Da sempre si trascina dietro un fardello di dolori familiari: un’aspra figura paterna, un fratello morto e un altro dal carattere difficile che è ora tornato a Los Angeles dopo tanto tempo. Rick trova rifugio nell’amore e nelle donne che hanno segnato la sua vita, accompagnandolo lungo un complesso itinerario di crescita.


CREDITI

Titolo: Knight of Cups / Titolo originale: Id. / Regia: Terrence Malick / Sceneggiatura: Terrence Malick / Fotografia: Emmanuel Lubezki / Montaggio: Geoffrey Richman, Keith Fraase, A. J. Edwards / Scenografia: Jack Fisk / Musica: Hanan Townshend / Interpreti: Christian Bale, Cate Blanchett, Natalie Portman, Brian Dennehy, Wes Bentley, Freida Pinto, Antonio Banderas, Isabel Lucas, Teresa Palmer, Imogen Poots / Produttori: Nicolas Gonda, Sarah Green, Ken Kao / Distribuzione: Adler Entertainment / Usa, 2016 / Durata:

SUL WEB
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