34° Torino Film Festival. I premi

Frame dal film Juan Zeng Zhe (The Donor) di Qiwu Zang. Primo premio al 34° Torino Film Festival
Frame dal film Juan Zeng Zhe (The Donor) di Qiwu Zang. Primo premio al 34° Torino Film Festival
Frame dal film Juan Zeng Zhe (The Donor) di Qiwu Zang. Primo premio al 34° Torino Film Festival

Mentre a pochi passi dalle sale del TFF andava in scena al Teatro Carignano (per la prima volta a Torino) la saga familiare di Lehman Trilogy, l’ultima regia di Luca Ronconi tratta dal testo di Stefano Massini, le famiglie e in modo particolare le relazioni padri/figli si sono rivelati i temi prevalenti nei film visti quest’anno nel festival diretto da Emanuela Martini.

La giuria del concorso principale, capitanata dal direttore della fotografia Ed Lachman e composta dai registi Don McKellar e Adrian Sitaru, dall’attrice israeliana Hadas Yaron e dalla produttrice tedesca Mariette Rissenbeek, ha assegnato il primo premio a Juan Zheng Zhe (The Donor) di Qiwu Zang motivandolo con un paragone a dire il vero un po’ ardito con il Neorealismo italiano. Esordio eccezionalmente maturo per un regista che è però stato a lungo assistente di Zhang Yimou e che si poggia su di un romanzo già molto ben strutturato, il film vincitore è un teso dramma sociale ambientato per lo più in un quartiere periferico di una grande città cinese. Immersa nel rumore continuo delle centinaia di treni che ogni giorno lo attraversano su varie sopraelevate, la vicenda è incorniciata da due piani sequenza realizzati da una camera-drone ad altezze siderali: in modo più funzionale e meno poetico di quanto visto in un altro film cinese sorprendente della scorsa stagione – Kaili Blues di Gan Bi – qui lo sguardo dall’alto sulla periferia in cui vive l’umile protagonista serve a sottolineare il divario di classe tra la sua famiglia e quella del ricchissimo co-protagonista in cerca di un rene per la sorella malata. Dipanando questa trama per rivelazioni progressive, il film mette a confronto diverse generazioni, la vecchia e la nuova Cina, con i loro valori inconciliabili, e si è aggiudicato anche il premio per la miglior sceneggiatura.

Il premio speciale della giuria è andato invece a Los decentes di Lukas Valentia Rinner, un altro crudo affresco psico-sociale che adotta però i toni della commedia nera e del grottesco per porre gli uni contro gli altri i ricchi argentini che vivono rinchiusi dal filo elettrificato in un esclusivo quartiere residenziale nel cuore di un parco e la comunità di naturisti loro vicini. La miglior attrice è stata giudicata Rebecca Hall per Christine di Antonio Campos, biopic sulla giornalista Christine Chubbuck che si suicidò in diretta televisiva e ispirò il personaggio (volto al maschile) di Quinto potere di Sidney Lumet. Sullo stesso caso, a Torino si è visto anche Kate Plays Christine di Robert Greene, originale docu-fiction su di un’attrice (non la Hall) cui viene chiesto di calarsi nel complesso personaggio di Chubbuck. Miglior attore è risultato il giovanissimo Nicolas Duran, protagonista di Jesus del cileno Fernando Guzzoni, altra storia drammatica di un figlio che non riesce a imprimere una direzione positiva alla propria vita e di un padre che non è capace di aiutarlo.

Lo spaesamento storico-esistenziale che sembra contagiare a tutte le latitudini il rapporto adulti/ragazzi nei film visti al TFF appare evidente anche nel fantascientifico Wir Sind Die Flut (We are tide) del tedesco Sebastian Hilger, che si è meritato il Premio del pubblico e racconta della misteriosa sparizione dei bambini di un intero paese collocato sul mare del Nord. Altro premio per un’opera cinese è il Cipputi, destinato a film con tema il lavoro, consegnato a Lao Shi (Old Stone) di Johnny Ma, che ha per protagonista un tassista accusato di aver investito un ragazzino. Il miglior documentario internazionale è il siriano Houses without doors di Avo Kaprealian, con un Premio speciale della giuria a Attaque di Carmit Harash, che continua a esplorare la Parigi traumatizzata dall’estremismo islamico. Nella sezione Italiana Doc ha vinto Saro di Enrico Maria Artale, viaggio in Sicilia alla ricerca di un padre mai conosciuto, premio speciale della giuria all’intenso e anomalo Moo Ya realizzato in Uganda dal lombardo Filippo Ticozzi, menzione a A bitter story di Francesca Bono, dedicato alla cospicua comunità cinese di Barge e Bagnolo, nel cuneese. Il premio per il miglior corto italiano è andato a Ex voto di Fabrizio Paterniti Martello, il premio speciale della giuria corti a Il futuro di Era di Luis Fulvio.

Il premio Occhiali di Gandhi, attribuito a cura del Centro Studi Sereno Regis a un film che porti con sé un messaggio di nonviolenza, va a Les vies de Thérèse di Sebastien Lifshitz che torna a raccontare la vita (anzi, le vite) e gli amori di una persona anziana. Thérèse Clerc, che figurava già ne Les Invisibles (2012), ha chiesto al regista di filmarla nei suoi ultimi giorni di vita per dare visibilità alla malattia e alla morte. Ancora una volta, per questa donna che dopo vent’anni di matrimonio negli anni ’60 seppe rompere un legame coniugale opprimente, che investì il resto della propria esistenza nella militanza femminista e nel lesbismo politico, si è trattato, mediante il cinema, di servirsi del proprio corpo come strumento pubblico per rompere tabù e silenzi. Il documentario mostra molto bene la relazione d’amore che lega la donna ai suoi quattro figli, la sua capacità di portarsi dietro tutte le radici e di trasmettere un’eredità di affetto e di sapere che tiene insieme, senza mai negarle, diverse esperienze e dimensioni del sé.

Tanti, dunque, i film che hanno messo in gioco la relazione tra genitori e figli come epitome delle difficoltà che questi ultimi oggi incontrano nel costruirsi un futuro, incerti anche sul valore da attribuire al passato, alla memoria, all’eredità e ai tanti fantasmi che popolano il presente: un paio di esempi, tra loro molto diversi, sono Le fils de Jean di Philippe Lioret e Le fils de Joseph di Eugène Green che raccontano entrambi l’incontro tra un figlio cresciuto senza padre e un genitore mancato. Se in Lehman Trilogy, una volta caduto l’equilibrista di Wall Street (in coincidenza con il crollo delle borse nel 1929), subito il figlio lo sostituiva in virtù dell’intercambiabilità dei pezzi umani nel sistema capitalistico, il cinema di oggi sembra testimoniare una ricerca di tipologie diverse di relazioni affettive e creative tra chi ha già un posto nel mondo e chi lo sta cercando.

© CultFrame 11/2016

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