L’infinita fabbrica del Duomo. Un film di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti

Massimo D'Anolfi e Martina ParentiPresentato in prima mondiale al Festival del Film di Locarno 2015, l’ultimo lungometraggio di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti può essere considerato una summa compiuta del loro cinema e, al contempo, l’inizio di un nuovo e ambizioso percorso di ricerca.

Da un lato, L’infinita fabbrica del Duomo conferma l’interesse della coppia di cineasti per il filmare luoghi dalla storia e dai caratteri assai peculiari indagando le tensioni ordinarie e non che li animano e svelandone, attraverso l’osservazione, le dinamiche di funzionamento. Ciò avveniva sia ne Il castello (2011) – rivolto a uno spazio nel quale si esercitano forme di controllo in gran parte esplicite come l’aeroporto di Malpensa – sia in Materia oscura (2014), in cui si smaschera un potere che agisce in modi più segreti e rappresenta una minaccia difficile da contrastare perché sostanzialmente invisibile – quella del Poligono sperimentale e di addestramento interforze di Salto di Quirra in Sardegna. Dall’altro, i due autori hanno presentato L’infinita fabbrica del Duomo come parte di un progetto più ampio intitolato Spira mirabilis, composto di diversi episodi realizzati in varie parti del mondo e dedicati ai quattro elementi naturali (terra, aria, acqua, fuoco) a cui dovrebbe aggiungersi l’etere: il film è pertanto un’opera a se stante ma anche il primo capitolo di una riflessione che a partire dalla ‘terra’ articola un suo discorso sulla relazione tra la natura e l’umano nonché sulle loro temporalità.

Infatti, bisogna subito precisare che, come da titolo, si tratta di un film sulla ‘fabbrica’ del Duomo di Milano, e non semplicemente sul Duomo, un film in cui si fa vedere l’incessante processo di ricostruzione e rinnovamento della Cattedrale che ha origine, oggi come nel XIV secolo, nelle cave di marmo di Candoglia mostrate nella prima parte. D’Anolfi e Parenti esplorano quindi in primis gli spazi nei quali la materia si trasforma grazie al lavoro umano, nei quali nasce e muore ogni pietra del monumento, come un vero e proprio organismo vivente; studiano le varie fasi del procedimento che porta un blocco di marmo bianco e friabile a diventare statua sacra capace di sostituirne un’altra ormai corrosa dal tempo, e dunque pronta per essere trasferita in quella sorta di misterioso cimitero delle erme alle porte di Milano dove il film ha inizio e fine. A sovrintendere tutti questi processi è la “veneranda fabbrica”, una macchina organizzativa che tramanda la memoria artigiana e archivistica di ogni aspetto ed epoca della vita del Duomo.

Massimo D'Anolfi e Martina Parenti

Pur con la sua struttura a mosaico e circolare, nel complesso il film si avvicina progressivamente alla Cattedrale muovendosi in forma scalare lungo due direzioni. La prima, immersiva, parte dagli spazi per concentrarsi sul lavoro umano che li anima: nei laboratori artigiani, negli uffici e negli ambienti della cattedrale vengono messi a fuoco i gesti di marmisti, carpentieri, restauratori, archivisti, preti, sorveglianti. Benché presenti, gli esseri umani lo sono in modo quasi astratto, con volti che a mala pena si vedono e che, in ogni caso, non sono destinati a essere ricordati ma la cui opera mette incessantemente in moto la storia, alimenta la ‘fabbrica’. Ne vediamo in atto le competenze, le funzioni, le gestualità evolutesi nel tempo con le mutazioni della tecnica, che oggi, nell’epoca delle stampanti 3D, rischia di far subentrare definitivamente le macchine agli individui.

L’altra direzione verso cui il film si muove è emersiva, con un movimento che dalle cave di Candoglia si apre sempre più verso la dimensione dell’infinito: si pensi per esempio a una delle ultime sequenze dell’opera, in cui la verticalità della struttura stessa del Duomo, concepita per rinviare a qualcosa di più alto, è ben sfruttata dal montaggio che cuce movimenti susseguenti e (false) soggettive delle statue salendo gradualmente da terra fino alle più alte guglie della Cattedrale, la cui vetta domina la città.

Massimo D'Anolfi e Martina ParentiQuesto dialogo con l’eternità è anche alimentato, sul piano temporale, dalle lunghe sequenze di cui è composta la parte centrale del film e che lasciano emergere una percezione netta dello scorrere del tempo. D’altro canto, se Alfred Hitchcock affermava nella sua famosa conversazione con Truffaut che il primo lavoro del regista è quello di contrarre e dilatare i tempi dell’azione, nei lavori di D’Anolfi e Parenti il tempo appare sempre scolpito (come teorizzava Tarkovskij ma qui anche letteralmente) a partire dal suo stesso fluire in certe inquadrature e dal sapiente lavoro di montaggio in altre sequenze. Ciò avviene in modo particolare in questo loro ultimo film, in cui i long takes, il montaggio e i movimenti ascensionali hanno lo scopo di sostenere il racconto di un’opera folle e illimitata di trasformazione della natura da parte dell’uomo, un racconto che si avvale di vari elementi simbolici i quali danno concretamente conto della durata plurisecolare della ‘fabbrica’ del Duomo: per esempio, l’olmo monumentale che da quasi sette secoli veglia sulle cave e sulle sorti della Cattedrale (che si dice esisterà finché vivrà l’albero) o la statua di Sant’Eulalia che funge da guida ed emblema della parabola di ogni scultura del Duomo.

Benché attentamente strutturato e rigoroso, L’infinita fabbrica del Duomo è comunque un film tutt’altro che severo: il suo essere sostanzialmente muto è stemperato da un notevole lavoro sul sonoro, non naturalistico ma rielaborato a partire da suoni diegetici e ambientali; alla mancanza di dialoghi suppliscono le parole dei documenti d’archivio e quelle riadattate prendendo spunto da due libri diversi tra loro quali Storia della veneranda fabbrica di Carlo Ferrari da Passano e Milano in mano di Guido Lopez e Silvestro Severgnini, da cui gli autori hanno tratto le didascalie dal tono assai narrativo e a tratti scanzonato che accompagnano lo spettatore per tutta la durata del film. D’altronde, in molte opere di D’Anolfi e Parenti è presente un’ironia sottile che si nutre anche di allusioni cinematografiche, ogni riferimento a Tati, Wilder e Fellini non appare qui puramente casuale.

© CultFrame – Punto di Svista 01/2016

TRAMA
Nel 1386 veniva estratto il primo blocco di marmo poi utilizzato per l’edificazione della Cattedrale voluta da Gian Galeazzo Visconti, il Duomo di Milano. Da allora, il monumento viene incessantemente restaurato e in buona parte ricostruito in tutti i suoi elementi grazie all’opera di un popolo di benefattori e di artieri che tiene in piedi la plurisecolare ‘fabbrica’ del Duomo.

CREDITI          
Titolo: L’infinita fabbrica del Duomo / Regia: Massimo D’Anolfi, Martina Parenti / Sceneggiatura: Massimo D’Anolfi, Martina Parenti / Fotografia: Massimo D’Anolfi / Montaggio: Massimo D’Anolfi, Martina Parenti  / Musica: Massimo Mariani  / Produzione:  Montmorency Film, Rai Cinema / Italia, 2015 / Durata: 74 minuti

SUL WEB
Filmografia di Massimo D’Anofli
Filmografia di Martina Parenti

 

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