L’Abicí della Guerra ⋅ Gli epigrammi fotografici di Bertolt Brecht

Copertina della seconda edizione de “L’Abicí della Guerra” di Bertolt Brecht, Einaudi Editore, 1975

In un periodo, come quello che stiamo vivendo, in cui la parola guerra risuona continuamente nelle nostre menti grazie alla veicolazione messa in atto dagli organi di informazione, in un’epoca nella quale, il sangue, il dolore e la follia si manifestano (per quel che riguarda la nostra piccola porzione di mondo) dal Medio Oriente all’Europa, portando angoscia e tristezza, occorre riflettere sul senso dei conflitti bellici, sulla violenza fisica e psicologica, sulla devastazione sociale che caratterizza la realtà odierna, elementi spesso comunicati dai mass media e dalle arti visive (fotografia compresa) in modo parziale, se non addirittura non corretto. Come orientarsi, allora, in questo profluvio di immagini, in questo flusso ininterrotto di visioni che scandisce le nostre giornate? Uno strumento possibile e a mio avviso valido, ce lo fornisce la casa editrice Einaudi che riporta alla luce un libro di Bertold Brecht intitolato: L’Abicí della guerra, un piccolo, agile, volume già pubblicato nel 1972, nel 1975 e poi nel 2002.

Si tratta di un’opera di fondamentale importanza per chiunque si interessi di fotografia, fotogiornalismo, informazione, mass media. Rappresenta l’irruzione della poesia, della riflessione filosofica, in un territorio visuale legato essenzialmente alla fotografia di guerra, alla rappresentazione dell’odio e della distruzione.
Il libro, che già negli anni cinquanta faticò ad uscire nell’allora Repubblica Democratica Tedesca, è costruito su una selezione di immagini della Seconda Guerra Mondiale e del periodo nazista realizzata personalmente da Brecht, il quale non si limitò a metterle una dietro l’altra costruendo, come si direbbe oggi, una serie. Il poeta e drammaturgo tedesco, infatti, elaborò lungo la traiettoria visiva da lui costruita una linea parallela di epigrammi fulminanti, in cui collocava le sue riflessioni sulle immagini e sulla guerra. Una fotografia, un epigramma. Il tutto in un percorso poetico-filosofico in grado di amplificare all’ennesima potenza la forza comunicativa delle inquadrature.

Come riportato da Michele Serra nell’introduzione a L’Abicí della Guerra, Brecht era molto attento a tutte le questioni riguardanti il problema del rapporto tra immagine e documentazione, tra fotografia e realtà, tra informazione e veicolazione di raffigurazioni fotografiche. In tal senso, Serra riporta un’affermazione significativa:

“L’enorme sviluppo del reportage fotografico, nelle mani della borghesia può trasformarsi in una temibile arma contro la verità”.

Tale asserzione è a mio avviso quanto mai inquietante oggi proprio perché profondamente attuale. In fondo, non è cambiato molto da settanta anni a questa parte. E bisognerebbe fare ancora moltissimi sforzi per far comprendere al mondo stesso della fotografia e del fotogiornalismo, in particolare, il pericolo che si corre quando le fotografie entrano nel tritacarne dei mass-media. Il libro di Bertolt Brecht è, dunque, un’occasione per tornare a riflettere su temi estremamente importanti, per tornare a confrontarci con fotografie che pur appartenendo al passato, forse, ci parlano ancora del nostro presente e probabilmente del futuro. I suoi epigrammi, brevi quartine secche e concise, ci inchiodano davanti a immagini di criminali nazisti, di città distrutte, di partigiani in armi, di soldati devastati dalla fatica.

Copertina de “L’Abicí della Guerra” di Bertolt Brecht, Einaudi Editore, 2015
Copertina de “L’Abicí della Guerra” di Bertolt Brecht, Einaudi Editore, 2015

Tra le opere che più mi hanno colpito, la n.48, cioè quella in cui è ritratta una madre ebrea con il piccolissimo figlio in braccio. Come spiega la didascalia accanto all’immagine, si tratta di una giovane donna salvata, insieme a suo figlio, dalle acque del Mediterraneo mentre tentava disperatamente di raggiungere la Palestina. Come non pensare, mentre si guarda questa fotografia, a ciò che succede nel Mediterraneo oggi, come non comprendere il dolore che spinge alcuni popoli a cercare, nel 2015, una vita migliore attraversando il mare. Infine, un’altra immagine negli anni ormai diventata un’icona. È la n.53, e come tutte le altre ha sotto di sé l’epigramma scritto da Brecht. Raffigura un soldato americano immerso in acqua mentre sta tentando di raggiungere faticosamente una spiaggia francese nel mezzo di una furiosa battaglia. È il 6 giugno del 1944 e a fotografare questo sconosciuto marine è Robert Capa.

Questa fotografia può essere considerata l’emblema dell’operazione intellettuale concepita, a suo tempo, da Brecht. Ridotta nel corso del tempo a sterile icona, appunto, a immagine museale storicizzata e marmorizzata nel passato, riacquista le sue qualità comunicative, la sua essenza profonda, anche se di fatto sembra palesare una contraddizione, per quel che riguarda un libro in cui viene “stigmatizzata” la guerra. Ma è proprio grazie all’epigramma di Brecht, alla contestualizzazione filosofico-poetica alla quale è sottoposta, che riguadagna miracolosamente il suo valore, avvicinandosi a quella verità che il fotogiornalismo di oggi fatica a raggiungere.

© CultFrame – Punto di Svista 01/2016
(pubblicato su L’Huffington Post Italia)

CREDITI
Titolo:  L’Abicí della Guerra / Autore: Bertolt Brecht / Introduzione: Michele Serra / Pagg. 162 / Prezzo: 11 euro / Editore: Einaudi Editore / Collana: ET Saggi / Anno: 2015 (I ed. 1972, II ed. 1975, III ed. 2002) / ISBN: 9788806229429

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