La legge del mercato. Un film di Stéphane Brizé

Stéphane BrizéStéphane Brizé è un autore non molto conosciuto in Italia, quasi nessuno dei film che ha diretto o interpretato ha avuto una distribuzione nel nostro paese, ma la sua ultima opera s’inscrive in una serie di lavori firmati dal suo co-sceneggiatore Olivier Gorce che interrogano la deriva neoliberista della società europea. Gorce ha infatti scritto anche Violence des échanges en milieu tempéré (2003) e De bon matin (2011) del regista marsigliese Jean-Marc Moutout, due co-produzioni belghe che denunciano la ferocia del capitalismo contemporaneo alla maniera di Loach o dei fratelli Dardenne: nel primo, paragonabile all’italiano coevo Volevo solo dormirle addosso, un giovane neolaureato assunto da una società di auditing scopre che il suo incarico consiste nel licenziare quanti più dipendenti possibile; nel secondo, il maturo protagonista compie una strage in ufficio in reazione alle vessazioni subite sul posto di lavoro, esplodendo dopo mesi di quella che San Tommaso definiva “ira amara” e che, come confessa al suo psicologo, gli faceva venir voglia di piangere in ogni minuto del giorno senza però riuscirci.

A questi ritratti di lavoratori si aggiunge ora quello del cinquantenne disoccupato Thierry (il titolo di lavorazione de La legge del mercato era in effetti Un homme), incarnato in modo convincente da un dimesso Vincent Lindon, premiato come miglior attore all’ultimo festival di Cannes e già icona del cinema sociale francese fin da Welcome (2009) di Philippe Lioret. Thierry è un uomo educato a portare avanti la propria vita lavorativa e familiare con dignità, e a trattenere i propri moti di rivolta, ma nella prima parte del film lo vediamo sempre più umiliato, di scena in scena, alla ricerca di un lavoro che nessuno vuole dargli e che gli viene negato da procedure di selezione (colloqui individuali, via skype, di gruppo) che lo fanno sentire inutile e colpevole della propria condizione. Poi, quando un lavoro infine arriva, ecco che il personaggio si ritrova catapultato dall’altra parte della barricata, nel ruolo di vigilante di un ipermercato costretto a diventare egli stesso strumento di controllo e umiliazione di clienti e dipendenti con i suoi medesimi problemi economici.

Come già per altre sceneggiature di Gorce, anche alla base del film di Brizé vi sono vari casi di cronaca. Uno riguarda la cassiera di un supermercato minacciata di licenziamento per essersi appropriata di un buono sconto non preso da un cliente, una storia finita sulle pagine de l’Express e ripresa dai principali social networks col risultato di aiutarla a conservare il posto. In molti altri casi e nel film, invece, il suicidio sul luogo di lavoro sembra essere l’unico esito possibile ai meccanismi di negazione ed erosione della soggettività che in tempi di crisi vengono perpetrati in misura sempre maggiore in fabbrica, in azienda, a scuola e in tutti gli altri ambiti lavorativi. Sintomatico e purtroppo assai realistico è il discorso del manager delle Risorse Umane che nel finale cerca di convincere i dipendenti del gruppo del fatto che la colpa di un gesto estremo non è loro, che di fronte alla decisione di farla finita non si può dimostrare che un licenziamento pesi più di avere un figlio che si droga.

Brizé condensa in modo a tratti brutalmente disadorno questi elementi prelevati dalle cronache quotidiane degli ultimi anni – e già oggetto in Francia di un’ampia letteratura saggistica e narrativa – e li accentua con uno stile semi-documentaristico in cui il protagonista è filmato sempre da vicino ma la camera a mano si muove di continuo facendolo entrare e uscire dal campo in cui viene contrapposto, praticamente in ogni sequenza, ad altri personaggi da cui dipenderà il suo destino. Inoltre, la scelta di affiancare a Lindon un gruppo di interpreti in larga parte non professionisti, ai quali l’attore si amalgama bene, intende aggiungere un grado ulteriore di autenticità che il doppiaggio italiano rischia di smorzare.

In tale quadro, la scelta di dare a Thierry un figlio disabile corre il rischio di compromettere la severità stilistica del film con un sovrappiù di patetico, eppure le scene del film in cui vediamo il protagonista con la sua famiglia fanno da contraltare complementare a quelle sul lavoro. La sequenza delle lezioni di danza che l’uomo prende con la moglie senza riuscire a tenere il ritmo imposto dal maestro ci rivela quanto egli sia inadeguato alla logica performativa prevalente nella nostra società e lo stesso vale per il figlio; difatti, quando marito e moglie ballano insieme a casa e a loro si aggiunge il figlio, Thierry balla molto meglio che a lezione. Se c’è un minimo pertugio di speranza in un’opera che non ne autorizza nessuna lo si può cogliere, forse, soltanto nella possibilità di una realizzazione autonoma e libera da imposizioni che questi pochi istanti del film lasciano intravedere in un contesto altrimenti repressivo di ogni umanità. Da questo piccolo rifugio domestico, tuttavia, la rivolta e la lotta di classe come mezzi di riscatto individuale e collettivo appaiono soluzioni definitivamente lontane e oggi inattuabili.

© CultFrame 10/2015

 

TRAMA
Thierry ha più di cinquant’anni e, trovatosi disoccupato, deve cercare un nuovo lavoro in un’epoca, la nostra, che non sa offrirgli nulla di dignitoso e stabile. Come può reagire un uomo esausto e bisognoso alle tante umiliazioni cui dovrà far fronte in questa situazione?


CREDITI
Titolo: La legge del mercato / Titolo originale: La loi du marché / Regia: Stéphane Brizé / Sceneggiatura: Stéphane Brizé, Olivier Gorce / Fotografia: Eric Dumont / Montaggio: Anne Klotz / Scenografia: Valérie Saradjian / Interpreti: Vincent Lindon, Karine de Mirbeck, Matthieu Schaller, Yves Ory / Produzione: Nord-Ouest Films, ARTE France Cinéma / Francia, 2015 / Distribuzione: Academy2 / Durata: 93 minuti

SUL WEB
Filmgrafia di Stéphane Brizé
Academy2

 

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