Ossessione dello sguardo ⋅ Italo Calvino e la fotografia

Damien Darchambeau. Madama Butterfly

Affermare che mai come oggi le fotografie abbiano occupato la quasi totalità degli spazi visivi, da quelli pubblici ai privati, è un dato scontato: pressoché ogni individuo o disciplina ha avuto e ha la necessità di servirsi della fotografia per determinare e circoscrivere il proprio sguardo sul mondo e su se stessi. Un numero stratosferico, inimmaginabile di immagini fotografiche è in circolazione e, momento dopo momento, va a sovrapporsi alle altre già esistenti; anche con il loro grado irreale di manipolazione. Il nostro sguardo risente di questa invasione; sussiste, dunque, il concreto e possibile condizionamento di riuscire a osservare, a interpretare e a replicare in altrettante immagini solo il già visto. E dato che la nostra interpretazione del mondo è appannaggio quasi esclusivamente del visivo, questo condizionamento non è insito solo nella produzione di immagini, sia statiche che in movimento, ma tende a vincolare anche le relazioni della nostra mente con ciò che ci circonda.

“…ma solo allora Antonino avrebbe potuto smettere di fotografare. Esaurite tutte le possibilità, nel momento in cui il cerchio si chiudeva su se stesso, Antonino capì che fotografare fotografie era la sola via che gli restava, anzi la vera via che lui aveva oscuramente cercato fino allora.”  

Questo virgolettato è l’ultimo paragrafo, l’ultima idea-azione con cui Italo Calvino conclude, tramite il suo personaggio Antonino Paraggi (non fotografo),  il racconto  L’avventura di un fotografo,  contenuto nella raccolta del libro Gli amori difficili.

Tramite Antonino, l’intellettuale Calvino, si interroga e ci fa riflettere sulla natura ambigua e instabile della fotografia. Tanto da insinuare in maniera tacita, ma non per questo meno concreta, che se la sola via d’uscita (dopo svariati tentativi del nostro non fotografo) è fare fotografie di fotografie, allora può essere lecito anche non fare più fotografie. Potrebbe, questo, essere un territorio d’indagine!?

Ossessione dello sguardo è il titolo della mostra a cura di Renata Tartufoli (recentemente scomparsa), in corso al MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea dell’Università La Sapienza di Roma, ed è proprio a partire dal pensiero in generale e dal racconto sopracitato di Italo Calvino (oltre che l’omaggio a trent’anni dalla scomparsa dello stesso) che l’esposizione prende avvio.  Il titolo è come non mai adeguato alle riflessioni dello scrittore e, considerata la situazione odierna, non così tanto distante da una certa realtà. La mostra all’interno dello spazio del MLAC viene suddivisa, seguendo un percorso lineare, in diversi moduli in cui sono circoscritte alcune delle modalità di utilizzo della fotografia.

Inizia con una sezione di immagini artistiche con fotografie di Eugène Atget, Bernard Plossu e Damien Darchambeau. Proprio di quest’ultimo autore è interessante la dinamica, partendo da opere musicali di Puccini, Berio e Donadoni l’autore francese dà vita a una serie di immagini in cui la ricerca di una stratificazione visiva dei suoni sembra essere l’obiettivo dominante. Si prosegue con delle fotografie scientifiche messe a disposizione da Cnrs Images, Institut Pasteur Paris, École Française di Roma e con una serie di riprese fotografiche di scavi archeologici appartenenti a l’École Française de Rome, Archives archéologiques: questo a testimoniare la varietà delle utilizzazioni della fotografia.

L’ultima sezione prende avvio da un progetto, organizzato da Renata Tartufoli e prodotto da ViaArte Italia, che si propone di portare all’attenzione del pubblico un’idea di fotografia artistica non commerciale. I 28 fotografi, scelti ognuno come rappresentanti delle 28 nazioni facenti parte dell’Unione Europea, sono stati invitati a presentare una sola immagine fotografica proveniente dalla loro sperimentazione.

Questa mostra dal titolo EuroArtPhoto ha come scopo la scelta di fotografie che attraverso un’attualità della ricerca “suscitano domande”. Come esempio, fra tutte le opere esposte in questa collettiva di respiro europeo, citiamo per un’analogia al nostro discorso introduttivo l’immagine fotografica di Alessandro Dandini de Sylva. Quest’ultimo fotografa un particolare della superfice di una pellicola Polaroid, compreso il liquido che ne permette lo sviluppo istantaneo: al di là delle intenzionalità dell’autore e della qualità dell’immagine, a noi appare come una metafora della fotografia che fotografa se stessa. All’interno dello spazio espositivo sono posizionate una serie di lampade realizzate da Stefano Notargiacomo, la cui particolarità va inserita in un riuso di elementi meccanici automobilistici con lo scopo di fare nuova luce con parti di oggetti destinati allo scarto. Con un’ulteriore metafora, fare “nuova luce”, sulle possibilità intrinseche (e parzialmente messe da parte, scartate) del dispositivo fotografico potrebbe essere uno stimolo da perseguire: come le dirompenti riflessioni di Italo Calvino, alias Antonino Paraggi, non fotografo.

© CultFrame – Punto di Svista 09/2015

INFORMAZIONI
Mostra: Ossessione dello sguardo / A cura di Renata Tartufoli
MLAC – Museo Laboratorio di Arte Contemporanea /  Piazzale Aldo Moro 5 Roma (Città Universitaria de La Sapienza) / Tel: +39 0649910365
Dal 10 al 30 settembre 2015
Orario: lunedì – venerdì 10,00 – 19,00

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