The Look of Silence ⋅ Un film di Joshua Oppenheimer

Che cosa significa documentare in chiave espressiva gli esiti tragici di un genocidio perpetrato da un gruppo di potere su cittadini inermi, “colpevoli” solo di appartenere a un popolo, a una religione o a una classe politico-sociale?
Ce l’ha insegnato in modo molto preciso Claude Lanzmann, regista francese autore del capolavoro Shoah (1974), lungo documentario (nove ore complessive) dedicato allo sterminio del popolo ebraico effettuato dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. In sostanza, appare necessario lavorare sulla questione della memoria, evitando ricostruzioni storicistiche che abbiano a che fare semplicemente con il “ricordo”. La memoria è attualizzazione del passato nel presente, e tale processo può avvenire solo nell’assenza di ogni futile spettacolarizzazione dell’orrore e grazie a un profondo lavoro di studio e analisi dei fatti. E quando opportuno e possibile, anche ponendo domande dirette ai carnefici ancora in vita.
Ebbene, la lezione di Claude Lanzmann è stata in parte seguita dall’americano Joshua Oppenheimer in occasione della realizzazione del suo film The Look of Silence.

Ci troviamo nell’Indonesia dei nostri giorni, un Paese in cui sono ancora al potere coloro i quali nel 1965 misero in atto ai danni dei contadini “comunisti” un autentico genocidio che portò alla morte atroce di un milione di persone. Come si evince dal film di Oppenheimer la società indonesiana è ancora attraversata dal terrore. Spesso i parenti delle vittime del genocidio del 1965 vivono nella stessa strada, o nello stesso quartiere, dei crudeli assassini dei loro cari. Pochissimi hanno il coraggio di parlare, di cercare di capire. Ecco perché quando scorrono i titoli di coda di The Look of Silence vediamo passare davanti ai nostri occhi una lunga lista di “anonimo”: assistenti alla regia, tecnici, attrezzisti, addetti della produzione, autisti. Anche il co-regista di Oppenheimer (evidentemente un indonesiano) non figura nei titoli per motivi di sicurezza.

Come sia stato possibile girare un’opera filmica in queste condizioni ci appare quasi incredibile, eppure il coraggio di alcuni uomini che non hanno rinunciato a innescare il processo della memoria ha consentito di portare a termine un film che non può che rimanere nella mente e negli occhi dello spettatore. La macchina da presa segue un uomo di quarantaquattro anni, il quale con determinazione e incredibile forza morale cerca uno a uno esecutori materiali e mandanti dell’omicidio del fratello che non ha mai conosciuto. Il protagonista, mostrando un coraggio straordinario, guarda dritto negli occhi gli aguzzini del fratello e pone loro domande chiarissime, mettendoli davanti alle loro abominevoli responsabilità.

The Look of Silence

Il racconto si evolve tra riflessioni silenziose, sguardi gonfi di lacrime, dialoghi assurdi e improvvisi innalzamenti della tensione. Ogni inquadratura fa emergere la lucida e “razionale” follia degli assassini, i quali sembrano propriamente appartenere a quella “banalità del male” che purtroppo sembra essere una caratteristica umana che si conserva nei millenni senza sostanziali mutazioni. Posti davanti all’angoscioso peso dei loro terrificanti crimini, questi soggetti parlano del passato e sminuiscono le azioni, dicendo di aver agito per salvare lo Stato.

Ma la struttura del film non si basa solo sulla narrazione verbale della memoria, Oppenheimer e il suo ignoto co-autore hanno, infatti, deciso di puntare anche su altri due elementi prettamente visivi: l’inquietante forza comunicativa ed evocativa dei luoghi e la raffigurazione di stampo reportagistico dell’esistenza di alcuni sopravvissuti e dei familiari di diverse vittime. Mentre il primo aspetto, grazie a inquadrature emblematiche degli spazi del genocidio, risulta efficace nell’ambito  nell’edificazione della memoria, il secondo finisce per disseminare nel film alcuni luoghi comuni visuali di derivazione fotografica (ci riferiamo al reportage fotografico, di natura quasi antropologica) e di brevi sequenze per nulla necessarie allo sviluppo del racconto.

The Look of Silence rimane, comunque, un documento (nel senso di testo denso di informazioni) di stupefacente importanza che riporta alla luce un genocidio di cui nessuno più parla, probabilmente perché privo di quel macabro e osceno glamour necessario a far si che il mondo occidentale (pseudo intellettuali, politicanti da salotto borghese e pseudo militanti per la pace), chiuso in patetici ideologismi anacronistici, se ne interessi anche semplicemente per non dimenticare.

© CultFrame 08/2014 – 04/2015
Film presentato alla 71. Biennale Cinema di Venezia

TRAMA
Indonesia. 1965. L’esercito mette in atto un violentissimo colpo di Stato e prende il potere creando un clima di terrore. I militari affidano a “milizie civili” il compito di sterminare i contadini comunisti, dicendo loro che non credono in Dio e che si cambiano le mogli. Questa folle iniziativa porta alla terribile  morte di un milione di persone. Oggi, nel 2014, i mandanti e gli esecutori di questo massacro detengono ancora il potere politico. I parenti delle vittime e i sopravvissuti non possono fare altro che vivere ancora nel terrore.


CREDITI

Titolo: The Look of Silence / Regia: Joshua Oppenheimer / Fotografia: Lars Skree / Montaggio: Niels Pagh Andersen / Produzione: Final Cut for Real / Paese: Danimarca, Finlandia, Indonesia, Norvegia, UK, 2014 / Distribuzione: Unipol Biografilm Collection, I Wonder Pictures / Durata: 98 minuti

SUL WEB
Sito ufficiale del film The Look of Silence di Joshua Oppenheimer
Sito italiano del film The Look of Silence di Joshua Oppenheimer
Filmografia di Joshua Oppenheimer
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – Il sito
Unipol Biografilm Collection
I Wonder Pictures

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