Wenders incontra Salgado ⋅ Il sale della terra ⋅ Il docufilm di Wenders pecca di celebrazione

Wim Wenders e Sebastiao Salgado nel film Il sale della terra diretto da Wim Wenders

Il sale della terra è stato presentato nel maggio 2014 nella sezione “Un certain regard” del Festival di Cannes. Ora, giunti a ottobre 2014, il film è stato prima proiettato al MAXXI di Roma nell’ambito del Festival Internazionale del Film e poi distribuito nelle sale cinematografiche. Autori dell’opera Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado. Riguardo il primo non ci sono bisogno di presentazioni. Il secondo, invece, è il figlio del celebre fotografo brasiliano Sebastião Salgado. Proprio a quest’ultimo è dedicato questo documentario, di cui Wenders è anche produttore esecutivo.

L’interesse del grande regista e fotografo tedesco per un personaggio come Salgado era prevedibile, vista la vicinanza al mondo della fotografia dell’autore di Palermo Shooting. Ma la questione più significativa da comprendere riguardo questo film concerne il modo con il quale Wenders si è rapportato a una figura così, apparentemente, centrale del mondo della fotografia. Il nodo fondamentale di tale aspetto concerne il fatto che appare evidente come ci si trovi a che fare non con un documentario approfondito, di studio e di analisi del lavoro del celebre fotografo brasiliano ma con un’autentica agiografia a-critica. Non discuto in assoluto la figura di Salgado, il quale è certamente un fotografo importante e un uomo di grande sensibilità, affermo solo che l’impostazione del film è puramente celebrativa e ciò nuoce anche alla qualità cinematografica dell’opera. Wenders non aveva certamente fatto ciò con il grande cineasta giapponese Ozu in Tokio-Ga, documentario che, di fatto, è situato agli antipodi rispetto a Il sale della terra.

Sebastiao Salgado nel film Il sale della terra diretto da Wim Wenders
Sebastiao Salgado nel film Il sale della terra diretto da Wim Wenders

Poi c’è la questione del punto di vista della fruizione. Chi si rapporta a questo documentario provenendo dal cinema e conoscendo poco la fotografia (e dunque anche Salgado) non avrà metri di giudizio adeguati per poter collocare con cognizione di causa Sebastião Salgado nella storia della disciplina fotografica, così come chi si approccia al film dal punto di vista dell’ambiente fotografico, purtroppo, non riuscirà a percepire a pieno l’autentico livello di questa operazione cinematografica. E ciò avviene, non perché il pubblico non sia in grado di interpretare un film su un fotografo, ma proprio perché si tratta di un’agiografia priva di analisi e di approfondimento che, dunque, pone lo spettatore di fronte a un soggetto praticamente intoccabile.
Così, ne Il sale della terra le sublimi e atroci immagini delle miniere d’oro in Brasile (Serra Pelada) finiscono incredibilmente per avere lo stesso valore degli inutili e banali scatti dei leoni marini o della coda di una balena, così come alcune straordinarie immagini del lavoro ‘Sahel’ assumono la stessa identica qualità di quella dei pinguini che entrano in acqua (scatto che fa parte del gigantesco lavoro Genesi).

In tal senso, Il sale della terra non va preso come un documento che cerca di analizzare oggettivamente il percorso autoriale di Salgado quanto piuttosto come un sentito omaggio soggettivo di Wenders (e del figlio dello stesso Salgado) a questa figura. Sull’effettiva collocazione di Salgado nel panorama della fotografia internazionale ci sarebbe molto da discutere, a cominciare dal fatto che ciò che emerge dal documentario in questione è una sorta di santificazione dello stile Salgado. L’autore brasiliano, oltretutto, è esponente solo di un settore limitato della disciplina fotografica, quello circoscritto allo sguardo di tipo antropologico e sociale. E anche se dovessimo considerarlo (come molti credono legittimamente) come un autentico maestro di questa tipologia di fotografia (e non ci sono dubbi che sia così) non potremmo fare a meno di evidenziare, per onestà intellettuale, la sua tendenza (in diversi scatti) a cadere in una pesante concezione estetizzante delle immagini. Il suo linguaggio, oltretutto, è stato anche generatore di mode che hanno attraversato in lungo e in largo la fotografia di reportage e sociale, dagli anni ottanta in poi: grandi contrasti iper-drammatizzanti e forte sgranatura dell’immagine, soprattutto.

Ebbene, tali aspetti non possono essere trattati con leggerezza in un documentario che racconta l’opera di questo autore; invece praticamente non se ne parla, così come paradossalmente non si parla di fotografia (in generale) in un film dedicato a un fotografo.Tutto è un raccontare di storie e vicende umane (alcune molto significative, toccanti e strazianti, a dire il vero). La fotografia, però, è relegata in un angolo e quando ne parla lo stesso Salgado vengono fuori solo dichiarazioni scontate e semplicistiche, come quelle comunicate agli spettatori dell’autore brasiliano sulla questione del ritratto. Ecco a quali asserzioni mi riferisco:

La forza di un ritratto è che in quella frazione di secondo si coglie un po’ la vita della persona che si fotografa. Gli occhi raccontano molto, l’espressione del viso…

Ed ancora:

Quando fai un ritratto non sei solo tu che fai la foto, la persona ti offre la foto.”

A ognuno di voi spetta un giudizio soggettivo su queste affermazioni. A me sembrano veramente troppo ovvie e limitate per un autore di questa portata.

© CultFrame – Punto di Svista 10/2014
(pubblicato su L’Huffington Post Italia)


CREDITI

Titolo: Il sale della Terra / Titolo originale: The Salt of Earth / Regia: Juliano Salgado, Wim Wenders / Sceneggiatura: Camille Delafon, David Rosier, Juliano Ribeiro Salgado, Wim Wenders / Fotografia: Hugo Barbier, Juliano Ribeiro Salgado / Montaggio: Maxine Goedicke, Rob Myers / Musica: Laurent Petitgand / Interpreti: Juliano Salgado, Sebastião Salgado, Wim Wenders / Produzione: Decia Films / Distribuzione: Officine UBU / Paese: Francia, 2013 / Durata: 110 minuti

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