Fotografi e registi si aggirano per la metropoli ⋅ Ma quanti di loro guardano in modo libero?

Uno dei territori espressivi più raffigurati, fotografati, filmati è senza dubbio quello della metropoli. Un esercito di cineasti, cameramen, videoartisti, fotografi è sempre in azione nei grandi agglomerati urbani del mondo, un esercito (rapace) pronto a catturare con l’ausilio dei dispositivi ottici le diverse facce della città, le cosiddette storie che dentro di essa si svolgono.

Il più delle volte, però, quando mi trovo a visionare lavori fotografici, film, video il cui fulcro espressivo è la metropoli riscontro lo stesso problema. Si palesano davanti ai miei occhi stereotipi, luoghi comuni, storie già viste e straviste, banalità, inchieste visive sterili. E i risultati più deprimenti non posso che riscontrali in quelle operazioni foto-video-cinematografiche che si collocano nel solco di un’impostazione di tipo “politico-ideologico”, impostazione che, di fatto, impone una visione bloccata e unidirezionale all’artista visivo (o al fotogiornalista) negandogli la gratificazione della ricerca, della scoperta, dello stupore.

La questione della rappresentazione della metropoli nell’ambito delle arti visive tecnologiche e dei massmedia è, dunque, aspetto assai complesso, denso di insidie. Il pericolo è quello di essere risucchiati in un labirinto in cui la città si autorappresenta in maniera autonoma e si autocolloca nella mente di fotografi e registi attraverso quelle che potrei definire pre-esistenze, cioè un sistema di idee già impiantato nell’immaginario collettivo e individuale.

Come risolvere questo problema? Il discorso è molto lungo e merita più di un post. Per il momento mi limito a segnalarvi alcune esperienze creative nelle quali gli autori hanno cercato di recuperare il senso dell’atto del guardare (estraneo al concetto di facile emozione e di rappresentazione semplicistica della realtà) e nelle quali hanno tentato di restituire un reale peso al punto di vista esterno sulla città, un modo, questo, per riacquistare la lucidità dello sguardo che solo un senso di sana “estraneità mentale” ai contesti che si guardano può fornire.

Prendiamo il caso di due fotografi molto diversi tra loro e che hanno operato in epoche distanti: lo svizzero-americano Rudy Burckhardt nel 1940 sentiva già il bisogno di guardare la città da un punto di vista “altro” attraverso una distanza in grado di cogliere l’animo della metropoli in una sorta di scambio bi-direzionale di visioni. Lo stesso discorso sembra essere affrontato dalla finlandese Elina Brotherus nel suo lavoro intitolato Last one in my Line (2012), opera nella quale la fotografa raffigura se stessa nell’atto di guardare la città, e la città apparentemente immobile restituisce il suo sguardo.

Che dire poi dei due capolavori della videoartista/cineasta belga Chantal Akerman: Scende la notte su Shanghai (ep. Lo stato del mondo – 2007) e News from Home (1977), opere nelle quali l’artista europea raffigura con il suo metodo creativo apparentemente algido, ma in verità profondissimo, due megalopoli come Shanghai, appunto, e New York?

E ancora come rapportarsi al modo in cui l’ultra newyorkese Martin Scorsese ha “dipinto”, ponendosi in una condizione di distanza creativa, la sua città nello spot dedicato a una nota casa di moda italiana? Una New York spettrale, straniante, enigmatica, incredibilmente vuota, praticamente deserta e vicina all’immaginario metropolitano di Michelangelo Antonioni (penso alla scena finale de L’eclisse) nella quale un uomo e una donna si incontrano. Il loro rapporto sembra quasi poter esistere grazie allo sguardo della metropoli stessa così come dimostra l’inquadratura finale in cui New York è vista, ancora una volta, da un punto di vista “altro” che la rende non tanto il palcoscenico in cui i due personaggi si relazionano quanto piuttosto un terzo personaggio che dialoga intimamente con loro.

Ebbene, quelli che ho appena fatto sono solo degli esempi che vi consegno e che rappresentano dei modelli di sguardi liberi sulla città (modelli che sarebbero utili a tanti fotografi e registi). È proprio questa tipologia di sguardi, privi di preconcetti, che cercherò di proporvi in altri futuri post.

© CultFrame – Punto di Svista 02/2014
(pubblicato su L’Huffington Post Italia)


Il video news from home di Chantal Ackerman

 

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