La vita di Adele. Un film di Abdellatif Kechiche

Una classe liceale legge La vie de Marianne di Marivaux e quando giunge il passo in cui la protagonista incontra lo sguardo di Valville, il professore sollecita i suoi studenti: un colpo di fulmine determina in noi un arricchimento o una mancanza? Quando ci innamoriamo, il nostro cuore trova o perde una parte di sé?
È così che prende avvio La vita di Adèle, acclamata e discussa Palma d’Oro al Festival di Cannes 2013. Abdellatif Kechiche pone quindi questa fluviale e toccante parabola di desiderio, nuovamente sotto il segno di Marivaux, come già era stato per il meraviglioso La schivata (2003). Questa volta, a partire dal testo settecentesco, il regista imbastisce una riflessione sull’amore, sulla virtù e sulla sofferenza. Infatti, come Marianne, Adèle incarna l’allegoria di una virtù che nulla ha a che vedere con la morale cristiana ma che si manifesta invece nella capacità di amare profondamente, appassionatamente, e che però sembra condannata a patire solo sofferenze (« Il faut que la terre soit un séjour bien étranger pour la vertu, car elle ne fait qu’y souffrir »).

La mano di Kechiche si mostra tanto abile nella scrittura, gestendo con grazia una quantità imponente di materiale intellettuale, quanto nella messa in scena registica che insiste in modo particolare su primi piani ravvicinati della protagonista, caratterizzata da alcuni elementi ricorrenti (bocca sempre in movimento, lacrime, naso che cola, capelli disfatti), e sulla tipizzazione dei personaggi (i genitori, le amiche pettegole, i gay, le lesbiche, le cerchie artistoidi). Ispirato alla graphic novel Il blu è un colore caldo di Julie Maroh, il film è qualcosa d’altro, una specie di canto polifonico che intreccia La vie de Marianne, La princesse de Clèves, l’esistenzialismo sartriano, l’arte moderna e la musica pop (dalla hit I follow rivers di Likke Li alla protestataria On lâche rien di HK & Les Saltimbanks che furoreggia durante una manifestazione studentesca). Si tratta di riferimenti che non si limitano ad arricchire il testo filmico per puro vezzo estetico ma lo costituiscono proprio come controcanto metatestuale alla narrazione che in questo modo si snoda mostrandoci il suo farsi e disfarsi nella mente del regista.

Il tutto è filmato con una sensibilità visiva che, tramite l’onnipresente colore blu, sembra abbracciare insieme Picasso e Kieslowski. La macchina da presa si sofferma con voluttà sulla bocca di Adèle che mangia, fuma, bacia, lecca, gusta la vita con una voracità quasi animale ma anche infantile, tenera, immediata, senza filtri. In una società ormai priva di gusto (per l’arte, per la vita), Adèle conserva un appetito raro pari alla sua sete d’amore, così, quando incontra Emma, la ragazza si immerge nelle acque profonde della passione. Le lunghe scene di sesso tra le due protagoniste non hanno, per una volta, nulla di irritante e sono di una bellezza rara. Più che alla pornografia, queste composizioni di corpi amorosi fanno pensare alle sculture di Rodin.

Se Adèle è una belle ingenue di estrazione modesta, con aspirazioni sincere e concrete, Emma è uno di quei tipi smaliziati che sembrano aver tutto visto e vissuto e proviene da una élite intellettuale in cui solo chi fa arte ha diritto di cittadinanza. Se Emma è il simbolico (l’arte visiva, la capacità di astrazione filosofica, il verbo spinto fino alla soglia perversa di una parola che nasconde e manipola), Adèle sembra invece una creatura preverbale, candida, non corrotta dal logos, capace di tracciare la propria via senza iscriversi nei solchi delle parole, dei discorsi e dei gesti d’altri: questa, che è la sua più grande virtù, è anche la sua più grande debolezza.

La ragazza si rivela infatti inerme e impotente di fronte all’epilogo crudele della storia con Emma e sprofonda in una solitudine disperata, densa di lacrime. Alla fine, quando sullo schermo compare il titolo e scopriamo che queste tre ore costituiscono il primo e secondo capitolo di quella che potrebbe essere una lunga serie di racconti oppure un’opera compiuta in sé (in fondo La vie de Marianne è un romanzo incompiuto…), rimaniamo a domandarci che ne sarà di questo personaggio struggente. Imparerà a prendere parola? Come riuscirà a vivere con la profonda mancanza che le viene dal suo desiderio umiliato?

© CultFrame 10/2013

 

TRAMA
Adèle è una liceale di Lille che ama la letteratura e che un giorno, recandosi al primo appuntamento con un ragazzo che le piace, viene folgorata dall’incontro con gli occhi di Emma che ha i capelli blu e cammina abbracciata alla sua fidanzata. Inizia così la sua lunga e tormentata educazione sentimentale che si snoda in due capitoli: il primo segue la nascita dell’amore appassionato tra le due ragazze, il secondo vede Adèle, impegnata nella sua formazione di maestra d’asilo, che vive con Emma, ormai un’artista in ascesa.


CREDITI

Titolo: La vita di Adele / Titolo originale: La vie d’Adèle / Regia: Abdellatif Kechiche / Sceneggiatura: Abdellatif Kechiche, Ghalia Lacroix dalla graphic novel di Julie Maroh Il blu è un colore caldo/ Fotografia: Sofian El Fani / Montaggio: Sophie Brunet, Ghalia Lacroix, Albertine Lastera, Jean-Marie Lengelle, Camille Toubkis / Scenografia: Julia Lemaire / Interpreti: Adèle Exarchopoulos, Léa Seydoux, Salim Kechiouche, Aurélien Recoing / Produzione: Wild Bunch, Vertigo Films, Scope Pictures / Distribuzione: Lucky Red / Francia, 2013 / Durata: 179 minuti

LINK
CULTFRAME. Venere nera. Un film di Abdellatif Kechiche di Maurizio G. De Bonis
CULTFRAME. Cous cous. Un film di Abdellatif Kechiche di Nikola Roumeliotis
Sito ufficiale del film La vie d’Adèle (La vita di Adele) di Abdellatif Kechiche
Sito italiano del film La vita di Adele di Abdellatif Kechiche
Filmografia di Abdellatif Kechiche
Lucky Red

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