62° Berlinale ⋅ L’Orso d’oro ai Taviani e gli altri premi

Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani è stato giudicato il miglior film della Berlinale 2012: dopo la Palma d’oro per Padre padrone (1977) e il Leone d’oro alla carriera del 1986, questo Orso d’oro rende i fratelli Taviani tra gli autori italiani che hanno raccolto più riconoscimenti nella storia del nostro cinema. La loro ultima opera, che racconta la messa in scena del Giulio Cesare di Shakespeare da parte di un gruppo di detenuti di Rebibbia, ha conquistato non solo la giuria ma anche il pubblico berlinese per l’intensità e la misura con cui è stata realizzata dai due veterani autori. Era dal 1991 che un’opera italiana non vinceva l’Orso d’oro, da quando Marco Ferreri prese il premio per La casa del sorriso. Quest’anno un’altra opera italiana, Diaz di Daniele Vicari, si è aggiudicata il secondo posto nella graduatoria dei film più amati dal pubblico del festival nella sezione Panorama.

La serata di premiazione si è aperta con una Menzione speciale della giuria per L’enfant d’en haut di Ursula Meier, premio creato apposta per attribuire un riconoscimento a un film sorprendente, tra i più amati da chi ha seguito il festival. Il Premio Alfred Bauer, dedicato al fondatore della Berlinale, per un’opera particolarmente innovativa è stato invece assegnato a Tabu del portoghese Miguel Gomes, che lo ha dedicato ai grandi vecchi come Manoel de Oliveira, Joao Monteiro, Fernando Lopez che in Portogallo hanno saputo realizzare film indipendenti dal punto di vista produttivo, artistico e politico.

La miglior sceneggiatura è risultata quella di En Kongelig Affære di Nikolaj Arcel che si è anche aggiudicato il premio per il miglior attore, consegnato a Mikkel Boe Følsgaard. L’Orso d’argento per la migliore attrice è andato invece alla giovane Rachel Mwanza, protagonista di Rebelle, film girato in Congo dal canadese Kim Nguyen. Il premio per un particolare contributo artistico ha ricompensato Lutz Reitmeir, direttrice della fotografia del film Bai lu yuan di Wang Quan’an, regista che nel 2007 vinse l’Orso d’oro per Il matrimonio di Tuya. Gran premio della giuria all’ungherese Bence Fliegauf per Csak a szél, una tragica storia sulle violenze ai danni della popolazione romany nell’Ungheria di oggi, mentre il cinema tedesco è stato omaggiato riconoscendo a Christian Petzold la miglior regia per Barbara, storia di una dottoressa alle prese con i problemi quotidiani della DDR.

La 62a Berlinale e i premi assegnati nel Concorso dalla Giuria presieduta (propriamente) da Mike Leigh confermano come il cinema contemporaneo possa interessarsi alle diverse figure della marginalità sociale raggiungendo al contempo notevoli esiti estetici. Se il massimo riconoscimento è stato riservato a un’opera dedicata ai carcerati, diversi altri film hanno mostrato la realtà dei migranti che si recano in Europa in cerca di una speranza e di una possibilità di riscatto trovandosi invece marchiati come clandestini, perseguitati dalle autorità di polizia, costretti a condizioni di vita disumane come in Indignados di Tony Gatliff che è arrivato alla Berlinale in compagnia di Stéphane Hessel, autore del pamphlet Indignez vous!. Sempre dalla Francia, Jaurès di Vincent Dieutre ha saputo mostrare con intensa compassione la vita di un gruppo di profughi afghani accampati per un anno sotto un ponte di Parigi, mentre nello strambo Glück di Doris Dörrie, Alba Rohrwacher ha interpretato il ruolo di una giovane che fugge dalla guerra ritrovandosi a battere i marciapiedi di Berlino.

Quella che alcuni giornali tedeschi avevano annunciato come “la Berlinale delle donne” si è effettivamente confermata un’edizione particolarmente segnata dalle presenze femminili sia davanti che dietro la macchina da presa, con il premio alla carriera attribuito a Meryl Streep, l’esordio alla regia di Angelina Jolie e tante donne protagoniste di storie per lo più durissime, di sacrificio, di fatica esistenziale, di disagio economico e solitudine. Solitudine e abbandono che coinvolge anche i molti anziani visti sugli schermi berlinesi.

Numerose pellicole hanno ritratto l’infanzia di giovani protagonisti, diversi tra loro: dal piccolo yankee che interpreta sopra le righe un orfano dell’11 settembre in Molto forte, incredibilmente vicino, diretto da Stephen Daldry dal romanzo di Safran Foer e presentato fuori concorso, allo struggente ladro bambino protagonista di L’enfant d’en haut, Kacey Mottet Klein, classe 1998, già visto nei panni di Serge Gainsbourg da piccolo nel bellissimo Gainsbourg vie héroique.

A più di dieci anni dall’undici settembre, il 2001 è una data che richiama alla mente diversi drammi della nostra storia recente come ci hanno ricordato Diaz e Summit, i due lavori italiani dedicati alle violenze perpetrate durante il G8 di Genova oppure il film di Daldry e Captive di Brillante Mendoza ambientati sullo sfondo degli attentati terroristici di Al Quaeda.

Per finire, una parola sui Teddy Awards, i premi attribuiti ogni anno ai migliori lavori a tematica GLBT: miglior film a Keep the lights on di Ira Sachs su una coppia di giovani newyorkesi tra hot line, gelosie, alcool e droghe (che mette anche in scena proprio una premiazione del Teddy); miglior documentario a Call Me Kuchu sulle estreme difficoltà di un attivista omosessuale ugandese e infine premio speciale della giura a Jaurès di Vincent Dieutre.

© CultFrame 02/2012

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