Jean-Pierre Jeunet. Una monografia a cura di Stefano Boni e Massimo Quaglia

jean_pierre_jeunet-monografiaPubblicata come catalogo della retrospettiva organizzata per l’edizione 2010 del Sottodiciotto Film Festival, questa agile monografia è un volume particolarmente utile e finora l’unico nel nostro paese che approfondisca la figura e l’opera del regista francese Jean-Pierre Jeunet.
Un film di Jeunet si riconosce sin dai titoli di testa, basti paragonare quelli del primo lungo, Delicatessen (1991), con quelli dell’ultimo in uscita anche in Italia col titolo L’esplosivo piano di Bazil (2009): eppure il regista ha firmato opere molto diverse e non viene facilmente riconosciuto come “autore”. Questo si deve forse anche al fatto che Jeunet ha co-diretto il suo esordio e diversi cortometraggi, d’animazione e non, con il disegnatore Marc Caro, e alla “colpa” di avere firmato un grande successo come Il favoloso mondo di Amélie (2001), il film francese di maggior incasso della storia ai botteghini esteri.
D’altronde, piuttosto che quella di “autore”, lo stesso Jeunet apprezzerebbe senz’altro di più la definizione di bricoleur che gli riservano i curatori del volume. Educatosi sin da bambino al piacere del fare e del creare con le proprie mani, il regista inizia sempre un film con quest’approccio, anche quando si tratta di un progetto poco personale come l’ennesimo capitolo della saga di Alien diretto nel 1997 a Hollywood in sostituzione di Danny Boyle, o come l’unico film che ha finora realizzato traendolo da un romanzo, Una lunga domenica di passioni (2004).
Tutta la “gavetta” di Jeunet, sin dal primo corto realizzato con Caro, L’èvasion (1978), si svolge all’insegna di una creatività artigianale che deve fare i conti, traendone anche ispirazione, dalla scarsità di mezzi. Già con Le Manège (1979), il secondo corto, animato, i due si aggiudicano un César ma non per questo la loro carriera spicca il volo. Ci vorranno almeno altri dieci anni, diversi altri corti (molti debiti col fisco, come Jeunet ha raccontato a Torino) e la vittoria di un altro César con Foutaises (1989) per trovare i finanziamenti necessari a realizzare il primo lungo, quel Delicatessen (1991) che ha conquistato milioni di spettatori.

Nella lunga intervista che apre il volume Jeunet ricostruisce il proprio apprendistato, raccontando di essere stato segnato in modo indelebile all’età di diciassette anni dalla visione di C’era una volta il west (1968) di Sergio Leone, e poi anche dai film di Fellini e dai cartoni di Bruno Bozzetto. Oggi il regista non perde occasione di ricoprire di lodi il cinema della Pixar, offrendosi quindi di realizzare per la prima volta un lungometraggio di animazione. E se c’è una caratteristica che accomuni tutti i suoi lavori è proprio quella di rompere i confini tra ciò che si può fare con gli attori in carne e ossa e ciò che è riservato ai disegni animati.
Come scrive Grazia Paganelli, ogni film di Jeunet ci proietta in un “mondo capovolto”, spesso innervato, come nota anche Massimo Rota, di elementi metacinematografici che ne rivelano la dimensione ludica e funzionale, che Giona A. Nazzaro ha descritto come una vera e propria frattura con una certa tradizione del cinema francese (ma i suoi rapporti con la Nouvelle Vague andrebbero meglio approfonditi), e la cui prerogativa, per citare Mariolina Diana, è quella di “rendere visibile l’impossibile”. A questo risultato, che per Gianni Volpi ha la cifra dell’esercizio di stile e dello “stile come visione delle cose”, concorrono tutti gli elementi della costruzione cinematografica, dalle facce dei suoi attori (su tutti il feticcio Dominique Pinon), alle scenografie, alla colonna sonora; e questo è ben testimoniato nel volume dai saggi di Arcagni e Lardieri che si concentrano in modo particolare sull’universo sonoro, sempre curatissimo, delle opere del regista.

Dopo due anni di lavoro passati sul progetto di un film tratto dal bestseller di Yann Martel Life of Pi, per il quale ha rinunciato a dirigere il quinto capitolo della serie di Harry Potter, e che è poi stato affidato ad Ang Lee che lo realizzerà con un costo inferiore a quanto preventivato da Jeunet, il regista francese ha cercato invano di convincere lo sceneggiatore David Benioff a non dirigere lui stesso il film tratto dal suo ultimo romanzo. Ora, come ha dichiarato nella sua recente trasferta italiana, sta provando a ottenere i diritti di un altro romanzo, americano, il cui titolo e il cui autore non ha ancora voluto rilevare, ma che parla della marginalità di chi può essere considerato un genio: dopo il ritorno alle sue più care ossessioni de L’esplosivo piano di Bazil (2009) staremo dunque a vedere come si evolverà il cinema di questo particolarissimo autore…

© CultFrame 12/2010


CREDITI

Titolo: Jean-Pierre Jeunet / A cura di Stefano Boni e Massimo Quaglia / Editore: Edizioni di Cineforum, 2010 / 80 pagine / Prezzo: 10.00 euro / ISBN: 9788889653197

LINK
Filmografia di Jean-Pierre Jeunet
Cineforum

INDICE
Sommario / Prefazione
Il favoloso mondo di Jean-Pierre Jeunet, intervista a cura di Stefano Boni e Massimo Quaglia
La libertà del sogno e delle idee gratuite di Gianni Volpi
Jouer le cinéma di Grazia Paganelli
Il fascino del cinema organico di Mariolina Diana
La passione e il candore contro la “normalità” sociale di Massimo Rota
Giocattoli mancanti e angelesse redentrici. Le donne (e altro) di Giona A. Nazzaro
Immagini dal respiro polifonico di Simone Arcagni
Il sasso nello stagno di Leonardo Lardieri
Note biografiche / Filmografia, a cura di Stefano Boni

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