Il corpo è il pensiero. Ritratti, autoritratti e nudi femminili. Mostra di Simcha Shirman. FotoGrafia – Festival Internazionale di Roma 2007

Simcha Shirman. Sitting in an Armchair and a Model, 2002. silver print

Nel panorama della fotografia contemporanea non sono molti gli autori in grado di coniugare armoniosamente, e senza ridondanze, complessità concettuale e limpidezza espressiva. Il rischio della ripetitività e della sovrabbondanza barocca di elementi visuali è sempre presente, soprattutto per quegli artisti che considerano la loro opera qualcosa di diverso e separato rispetto alla loro interiorità.

Nel caso di Simcha Shirman questo pericolo è inesistente. Il suo lavoro nasce da una profonda elaborazione contenutistica, dalla sedimentazione della riflessione tradotta in gesto istantaneo, dall’osservazione non convenzionale del reale, da una ricerca interiore che viene trasposta in immagini con la consapevolezza che non sia significativo rappresentare quanto piuttosto evocare. In tal senso, la poetica shirmaniana coincide perfettamente con la sua concezione formale e il suo percorso stilistico. Il suo universo visuale appare particolarmente euritmico, frutto di un lavoro che si basa anche sulla chiara volontà di sottrazione, nella cognizione che i vuoti siano più eloquenti dei pieni, e che a volte i neri, cioè gli spazi non vedibili, siano più sconvolgenti rispetto a ciò che il nostro sguardo può percepire. Tale impostazione esclude ogni tendenza estetizzante che possa far compiere al fruitore delle sue opere una fuorviante deviazione verso un “bello” fine a se stesso. La fotografia di Shirman è tutta “dentro” ma non in maniera autoreferenziale e introversa; è invece emersione tragicamente impassibile dell’Io, è manifestazione creativa di un’ambiguità dell’animo umano che non può essere catalogata, è apparizione nel presente della memoria (sua e di una collettività più ampia). In questo contesto poetico, Simcha Shirman utilizza metodicamente tre diversi temi iconografici: il nudo, il ritratto e l’autoritratto. Tali temi sono in molte occasioni esplicitati ma spesso si configurano attraverso percorsi allegorici, indizi espressivi utilizzati per costringere il soggetto che guarda a compiere una propria indagine personale.

Una delle opere emblematiche di Simcha Shirman è intitolata Self Portrait (2000) ed è pubblicata sul libro Saturday Morning (testi di Yosef Sharon – Gordon Gallery, Tel Aviv, 2001). Si tratta di un autoritratto ambientato nel quale l’autore si mostra nella dimensione privata e familiare, mentre nella cucina della casa dei genitori sorbisce una minestra in presenza dell’anziana madre, che lo guarda. L’artista rinuncia in questo caso ad ogni tentazione di autorappresentazione celebrativa per collocarsi nella dimensione ordinaria e modesta della vita casalinga. La struttura compositiva sembra apparentemente improvvisata e facilmente leggibile; in verità si esplicita come un manifesto sintetico e metaforico della poetica shirmaniana, non scevro da implicazioni di carattere collettivo, addirittura politico. L’artista si è infatti auto-innestato in una struttura priva di formalismi e in un ambito nel quale la sua immagine è posta nella condizione ordinaria di “normalità quotidiana”. Si percepisce l’intento di Shirman, non solo di parlare di se stesso, ma anche di porre la figura dell’artista nello spazio esistenziale giornaliero, condiviso e condivisibile da ogni essere umano, nonché di utilizzare un gesto intimo (mangiare in compagnia della madre) per comunicare agli altri un segmento della sua interiorità che non viene mostrato sotto forma di supponente elargizione intellettualistica ma attraverso una forma allo stesso tempo allegorica e realistica. Non si tratta, in sostanza, di un’impostazione di tipo esibizionistico, tutt’altro. È la raffigurazione di una fragilità che lo riguarda direttamente e che Shirman non ha timore di palesare, evidenziando in ciò uno spirito creativo non vacuamente aristocratico (in senso artistico) ma autenticamente democratico, dunque politico. Self Portrait (2000) si configura come una summa poetica dell’intera opera di Shirman, il quale nell’arco del suo percorso colloca spesso la sua figura in un territorio dell’espressione visiva nel quale confluiscono tutti gli impulsi che caratterizzano il suo “fare fotografia”.
Partendo dal concetto di fragilità psicologica dell’essere umano, Shirman non si limita a porre la propria immagine in un contesto privato; il suo discorso si estende anche in uno spazio visivo nel quale il suo corpo nudo assume un ruolo concettuale fondamentale.

L’esigenza non è quella di assurgere a opera d’arte quanto piuttosto di indicare come la sostanza materiale, la carne dell’artista, sia niente altro che l’involucro che contiene e presenta in forme visibili il substrato psichico della personalità individuale, quest’ultima mai limpida, leggibile, certa.

Self Portait Drinking Coffee
(2002), l’autore appare nudo, seduto su un’ampia poltrona. La mano destra sorregge una tazza, lo sguardo è rivolto verso il basso in atteggiamento riflessivo, l’organo sessuale maschile occultato. Shirman mostra non tanto il suo corpo (anzi nega la sua virilità) ma la dimensione nascosta e profonda della sua personalità, confutando con determinazione lo stereotipo della mascolinità e “regalandosi” semplicemente e totalmente indifeso al fruitore.
In base a quanto fino ad ora sostenuto, tale immagine è esemplare e centrale nell’opera shirmaniana. In questo caso non è l’artista-demiurgo a compiere un prelievo di realtà; avviene, infatti, esattamente il contrario. È chi guarda a cogliere un frammento di interiorità dell’artista che si abbandona allo sguardo degli altri in una condizione di naturale debolezza, di completa nudità corporea e psicologica.

In Nira Asleep, Chelsmore Hotel New York (2004), i temi della famiglia e dell’autoritratto sono collocati in una struttura espressiva che richiama alla mente la lezione del surrealismo e del cinema di David Lynch. Shirman come il regista americano (ma anche come altri fotografi contemporanei) mostra grande attenzione per luoghi (come l’albergo) stranianti, in cui ogni dato reale, anche il proprio corpo e l’immagine rassicurante della moglie, è riposizionato in un rebus di opposizioni enigmatiche. L’immagine di Shirman, in questa occasione, è riflessa nello specchio posto sopra il letto dove la moglie sta riposando. Si tratta di una presenza che genera inquietudine e che sembra alludere all’indecifrabilità dei rapporti affettivi e umani. Quella dell’artista israeliano è in questo scatto una presenza/assenza fantasmatica che provoca uno slittamento del senso in una zona intermedia e indefinibile nella quale sentimenti individuali, dinamiche esistenziali, dipendenze affettive, ossessioni psicologiche si intersecano in un labirinto mentale in cui la realtà evoca un universo segreto e ambiguo, non codificabile in modo rassicurante. Una tormentata incongruenza di fondo pervade quest’opera, un’incongruenza di tipo surrealista che si ritrova in modo inequivocabile nelle immagini dedicate al nudo femminile.

Simcha Shirman. Nude, 1997. Color print

Quest’ultimo tema è spesso ricollocato all’interno di una stratificata e articolata griglia concettuale nella quale oltre alle istanze surrealiste trovano spazio anche riferimenti alla pittura da Tiziano (Venere di Urbino – 1538) fino a Munch (Pubertà – 1893).

Il corpo femminile non è mai raffigurato secondo gli stereotipi della fotografia contemporanea. Per Shirman la femminilità è una categoria che va oltre la concezione borghese del femminile per situarsi in una dimensione dell’inconscio, patrimonio di ogni essere umano.
Le sue modelle sono spesso disposte in inquadrature nelle quali il vuoto sembra essere il fattore basilare. Il corpo è reso visibile attraverso temi pittorici (la donna distesa, oppure seduta sul letto) che generano spaesamento e una potente ambiguità del senso. Il significante si palesa con evidenza e testimonia la presenza del femminile nella complessa condizione dell’essere umano. Il corpo della donna ha però anche un potere di rivelazione del mistero. L’impassibilità attraverso la quale Shirman dispone le sue modelle nelle inquadrature comunica anche un’impressione di forte scollamento dalla realtà. Questa incongruenza (corpo femminile vs realtà) è la base poetica sulla quale l’autore innesta fattori ritornanti di stampo surrealista, come l’atto emblematico del “taglio con un coltello”, in genere effettuato sul pane (Self Portrait Slicing Bread and Model – 2000). Questo gesto significante è ricollegabile all’inquadratura cardine del capolavoro anarchico e rivoluzionario di Luis Buñuel Un chien andalou (1930), quando lo stesso cineasta dopo aver impugnato un affilato rasoio taglia in due un occhio umano (in realtà di un vitello) provocando una fuoriuscita di materia organica. E’ un atto appunto di rivelazione ma anche, allo stesso tempo, di liberazione di un inconscio bloccato dalle zavorre della cultura borghese e della religione.

Tale caratteristica dell’elemento femminile viene poi amplificata in quelle opere in cui Simcha Shirman accosta, mai convenzionalmente, il corpo nudo di una modella alla sua stessa figura. I due soggetti sembrano non dialogare ma in verità sono sotterraneamente e oniricamente connessi da un filo invisibile che unisce due sensibilità, non così differenti come si è portati a credere. La sensualità femminile, bloccata in posizioni che non presentano un eros ostentato, viene evocata nei nudi di Shirman grazie alla compostezza della postura, mai banalmente provocante ma sempre problematicamente cristallizzata in una traccia nella quale pensiero e corpo fanno parte di un unico magma emotivo e psicologico. Oltretutto l’autore israeliano dispone la nudità femminile spesso in contesti compositivi che obbligano chi guarda a proiettare sull’immagine la propria riflessione individuale. A questo scopo serve, ad esempio, l’oscurità che avvolge le forme di un corpo disteso su un sofà, un’oscurità che protende il femminile in un abisso in cui l’inconscio prevale sulla conoscenza razionale e sulla banalità del bello. Ed ancora: il calore vitale delle forme e delle linee carnali viene abilmente accostato al gelo di un letto spoglio di cui si vede solo il telaio in ferro. Il femminile, dunque, è raffigurato da Shirman come un elemento caleidoscopico e destabilizzante che contiene in se fattori contrari, tra angosciosa perdita di senso, asprezze ingovernabili, derive oniriche ma anche improvvise e folgoranti flussi lirici, perfino vagamente rassicuranti.

La dimensione del mistero femminile è ulteriormente indagata nei ritratti recenti realizzati grazie ad un’impostazione formale ricorrente. Il soggetto prescelto è sempre ripreso frontalmente con un taglio dell’inquadratura che rende visibili il volto, le spalle e il seno. Intorno alla figura ripresa domina un nero profondo e netto. Il viso, gli occhi, la bocca sembrano essere sospesi in una condizione enigmatica che esalta la componente arcana e imprendibile della grazia femminile. Tali ritratti più che illustrare volti e corpi, rendono visibile una concezione della femminilità che esclude ogni possibile interpretazione estetizzante, per situare il pensiero nello spazio dell’esplorazione del senso della vita, delle differenze, della ragione, ed anche del sogno.

I ritratti femminili di Shirman, essendo apparentemente oggettivi, fanno risaltare in modo perturbante la composta dissonanza del femminile, una dissonanza salda che si contrappone alla mediocrità stabilizzante del mondo e che diviene coscienza pura dell’umanità. Lo sguardo in macchina delle modelle esalta all’ennesima potenza questo scarto verso il sublime, un sublime che non è frutto di un’idealizzazione di tipo superficialmente artistico ma il risultato del raggiungimento di una consapevolezza di carattere filosofico. Simcha Shirman sembra voler affermare come lo sguardo di una donna sia lo specchio miracoloso della condizione interiore di chi guarda, dunque potenzialmente di tutto il genere umano.

L’autore israeliano, in sostanza, porta alla luce, senza remore di tipo culturale ed evitando accuratamente ogni sovrastruttura, la scioccante capacità dell’elemento femminile di leggere e far suo il mondo, nonché di restituirlo alla società in tutta la sua inafferrabile e drammatica indeterminatezza.

Testo critico del curatore © Maurizio G. De Bonis  / © CultFrame 04/2007

INFORMAZIONI
Mostra: Il corpo è il pensiero. Fotografie di Simcha Shirman / A cura di Maurizio G. De Bonis
Dal 10 al 24 aprile 2007 / Inaugurazione: martedì 10 aprile alle ore 19
Istituto Superiore di Fotografia / Via degli Ausoni 7, Roma
Orario: tutti i giorni 16.00 – 19.00 / chiuso domenica / Ingresso libero

SUL WEB
CULTFRAME. Fotografia Israeliana Contemporanea. Un libro a cura di Orith Youdovich
CULTFRAME. L’immagine della memoria. La Shoah tra cinema e fotografia. Un libro di Maurizio G. De Bonis
Sito di Fotografia – Festival Internazionale di Roma

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