I ka nyì tan, mostra di Seydou Keïta e Malick Sidibé, fotografi a Bamako

© Seydou Keïta
© Seydou Keïta
© Seydou Keïta

Nei pressi del “Marché Rose”, vicino alla stazione, dietro la prigione, accanto al “Soudan Ciné”. Così veniva indicato il luogo dove si trovava uno dei punti di riferimento più saldi di Bamako, lo studio di Seydou Keïta, il fotografo (e falegname) oggi ottantenne, nato intorno al 1921 nell’allora Sudan Francese.

Nella città maliana, il rinomato Mercato pullulava di gente proveniente da villaggi remoti e da etnie tra le più disparate. Dalla stazione partivano treni per la capitale senegalese Dakar, trampolino per raggiungere Parigi. Al cinema proiettavano film stranieri in bianco e nero. Bastava introdursi nello studio di Keïta per affermare la propria presenza nell’ambito della grande kermesse cittadina, ovvero della modernità nascente dell’Africa occidentale.

Keïta, come nessun altro, sapeva far risaltare la maestosità delle donne africane, abbellite da gioielli d’oro, nelle loro stoffe fantasiose così ben fuse con i morbidi fondali di foggia araba.

Le affascinanti donne di Bamako sono sedute una accanto all’altra in una sorta di un gioco di specchi. Vestiti larghi e floreali, foulard, bracciali luccicanti, ornamenti nei capelli e tipiche acconciature cittadine. Una spalla che tocca l’altra per accennare ad un’intimità, una mano nella mano, per sottolineare la complicità. Scenografie curate ed accessori selezionati come cravatte, orologi, radio e motorini trasformano lo studio in una “scatola magica” dove il soggetto vive un momento di sogno e di gloria reso eterno dall’immagine.

© Malick Sidibé
© Malick Sidibé

Ma Keïta non è il solo fotografo di Bamako. Nel quartiere di Medina Koura c’è Sakaly che ritrae le serate mondane nei grandi alberghi, e a Bagadadji, e più precisamente a via 30 angolo 19, si trova il mitico Studio Malick.

Più giovane di Keita di 15 anni, Malick Sidibé, artigiano di formazione, ha sempre rifiutato di esercitare il mestiere perché non consone con le sue origini Fulfulde (un popolo pastore). Iniziato alla fotografia dal francese Gérard Guillat, il proprietario del “Photo Service”, Malick si esercita nel laboratorio e nelle riprese in studio. Nonostante un carattere riservato e timido, preferisce uscire dallo studio per cogliere con il suo obiettivo i cambiamenti e lo spirito della gioventù locale.

Nella bella mostra intitolata I ka nyì tan, Seydou Keïta e Malick Sidibé fotografi a Bamako, allestita al Museo Hendrik Christian Andersen di Roma e curata da Cristiana Perrella e Elena di Majo, settanta fotografie in bianco e nero documentano il ruolo del mezzo fotografico nella cultura africana e i cambiamenti sociali nel Mali tra la fine degli anni ’40, attraverso le opere di Seydou Keïta, e gli inizi degli anni ’70, visti grazie allo sguardo di Malick Sidibé.

Nella Bamako di Sidibé l’atmosfera diventa sempre più effervescente. La musica occidentale fa il suo ingresso nella cultura quotidiana e la città si divide in gruppi di fan che si radunano intorno ai club “Les Spoutniks”, “Les Beatles” e “Cinémonde”. I ragazzi si identificano per il tipo di musica, per il linguaggio e per il “look” della propria comitiva. La liberalizzazione dei rapporti tra i due sessi, il dinamismo prorompente dei giovani e il movimento ritmato dei balli attraggono Malick, la cui presenza prestigiosa in una festa diventa una necessità collettiva. Le fotografie verranno appese fuori dal suo studio, un luogo di aggregazione, dove continueranno ancora ad affluire le donne per immortalare la loro femminilità avvolta da un nuovo vestito e accentuata da una nuova e stravagante pettinatura.

© CultFrame 03/2001

INFORMAZIONI
I ka nyì tan – Seydou Keïta e Malick Sidibé fotografi a Bamako / A cura di Cristiana Perrella e Elena di Majo
Dal 26 febbraio al 17 giugno 2001
Museo Hendrik Christian Andersen / Via Pasquale Stanislao Mancini 20 (Piazzale Flaminio), Roma / Telefono 06.3219089
Orario: tutti i giorni 9.00-20.00 (chiuso lunedì)

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