Brassaï ⋅ Mostra antologica

Brassaï. Nudo, 1931-32

Bijou leggeva il futuro nei caffè di Parigi. Viso truccato, un cappello di velluto, un collo di pelliccia, mani ingioiellate, sguardo in macchina. Kiss abbraccia una donna all’angolo del bistrot del piano terra dell’Hotel des Terrasses. Gli specchi attorno restituiscono frammenti dei loro volti. Sono gli anni trenta. Il fotografo Brassaï, spinto dalla curiosità nei riguardi dell’esperienza umana, penetra nelle “vene” della Parigi notturna, dove scorre la vita segreta di prostitute, clochards, fumatori d’oppio e omosessuali. Ma non solo.

I ponti avvolti nella nebbia. Quel susseguirsi di strutture architettoniche che fa di Parigi una città singolare. Il mosaico delle pietre dei marciapiedi bagnati dalla pioggia in un gioco di luci offuscate e ombre gentili. I muri, tatuati da graffiti.

Nato nel 1899 a Brasso (da cui Brassaï) in Ungheria, Gyula Hálász (questo è il suo vero nome), frequenta l’accademia delle Belle Arti di Budapest. Lascia l’Ungheria prima per Berlino, dove incontra Moholy-Nagy, Kokoschka e Kandinsky, e poi per Parigi dove si stabilirà definitivamente. Pittore, scultore, poeta, scrittore e giornalista, Brassaï deve a Kertész la sua decisione di abbandonare il pennello a favore dell’espressione fotografica. Ai suoi amici nottambuli Jacques Prévert, Leon Paul Fargue e Henry Miller (da quest’ultimo soprannominato “L’Occhio di Parigi”) Brassaï deve invece la sua passione per la Parigi ombrosa, con i suoi monumenti, le ringhiere, le grate, le facciate, le colonne, i parchi, i cimiteri, le stazioni della metro, le sponde della Senna, i tetti, i marciapiedi: paesaggi da lui ripresi da infinite angolazioni.

Brassaï. Bijou, Bar de la Lune, Monmartre, Parigi, 1932 ca.

Cosciente nella scelta di preservare una cultura in via di sparizione, Brassaï ha senz’altro subito l’influenza di Atget, ma probabilmente anche quella dei surrealisti, nonostante non si identificasse con loro. I suoi lavori sui graffiti piacciono ai membri del movimento di Breton, interessati all’arte primitiva, espressione di una cultura familiare e manifestazione spontanea dell’impulso creativo. Le sue immagini, così, accompagneranno alcuni scritti di Breton pubblicati sulla prestigiosa rivista surrealista Minotaure. L’influenza di Picasso invece è riscontrabile nelle incisioni effettuate da Brassaï sui suoi negativi già impressionati come in Odalisque – 1934-35 ca.

La città di Verona ha aperto i suoi Scavi Scaligeri per ospitare la mostra antologica di Brassaï: duecentosessanta opere provenienti dalle collezioni del Museo Nazionale d’Arte Moderna del Centro Pompidou e da Gilberte Brassaï, la vedova dell’artista. La collezione include una serie di piccole sculture di onice, marmo, gesso e bronzo e di disegni di nudi femminili, realizzati dal 1921 al 1944 con l’uso di inchiostro e matita su carta.

Anche se ormai viene identificato con la fotografia notturna, Brassaï si dedicò a lungo alla rappresentazione di Parigi di giorno. Interessante la sequenza di tipo cinematografico di otto scatti de Un homme meurt dans la rue, Boulevard de la glacière, 1932 effettuati dall’alto e fonte di ispirazione per Marcel Carné nel film Le jour se lève (Alba tragica – 1939). E infine venti foto (erano sessantaquattro) esposte al MOMA di New York nella mostra organizzata da Steichen, a cui parteciparono anche Cartier-Bresson, Doisneau, Izis e Willy Ronis.

Un bellissimo allestimento, quello concepito per la retrospettiva di Brassaï, nel Palazzo del Tribunale al centro di Verona, tra Piazza Erbe e le Arche Scaligere, che costringe il visitatore a un percorso tra i resti romani e medievali ritrovati nelle fondamenta dello stabile. Manca tuttavia nel cartellone della mostra il mondo dell’alta società, colto dall’obiettivo di Brassaï fra il 1934 e il 1938. L’opera di Parigi, il ristorante Maxim, l’appartamento di Helena Rubinstein, i castelli, i conti, i marchesi e i principi lo interessavano come i frequentatori dei bar, in quanto “fenomeno” esistente nella società Parigina. Inoltre, non sono presenti “Les artistes de ma vie”, fotografie scattate agli amici durante il loro lavoro. Tra questi: Dali, Samuel Beckett, Eugene Ionesco, Thomas Mann, Anais Nin, Matisse, Simone de Bauvoir, Jean-Paul Sartre, Jean Genet, Alberto Giacometti. Peccato, perché queste immagini rappresentano le testimonianze di un’epoca e della vita dell’artista, morto a Nizza nel 1984.

© CultFrame 08/2000

INFORMAZIONI
Dall’8 luglio al 10 settembre 2000
Centro Internazionale di Fotografia, Scavi Scaligeri, Verona / Telefono 0458077533
Orario: tutti i giorni 10.00 – 19.00 / chiuso lunedì
Catalogo Seuil

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